giovedì 29 aprile 2004

Todos Zapateros - sulla pelle del popolo iracheno


Riporto alcuni stralci di un editoriale de Il Riformista (grazie a Mixumb):
Pubblichiamo oggi quasi integralmente la relazione che Lakdhar Brahimi, inviato speciale di Kofi Annan, ha svolto l’altra sera al consiglio di sicurezza dell’Onu sul processo di transizione in corso in Iraq. Lo facciamo perché in Italia chi chiede il ritiro delle nostre truppe (e ormai si appresta a chiederlo anche la lista Prodi, con una certa fretta, presentando una mozione entro il 15 maggio, da mettere ai voti entro il 28 maggio, data di chiusura del parlamento per la campagna elettorale europea) spiega l’accelerazione sulla base del fatto che i margini della cosiddetta svolta si starebbero esaurendo. Siccome è Brahimi l’incaricato dall’Onu di verificarne la fattibilità, cioè di nominare un governo provvisorio in Iraq entro la scadenza prevista dalla precedente risoluzione approvata all’unanimità (il 30 giugno), ci sembra che sia più attendibile dei leader del centrosinistra italiano nel giudicarne le prospettive.



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Dunque il lavoro terribilmente difficile di stabilizzare l’Iraq si può fare per Brahimi, ma è già chiaro che non si può fare per l’opposizione in Italia. Ricordiamo, en passant, che Brahimi è un algerino, musulmano sunnita, è stato presidente della Lega araba e in questa veste ha più volte preso le parti di Saddam. Tutto è tranne che un amerikano. Perché dunque la posizione iniziale della lista Prodi ("aspettiamo l’Onu") si è trasformata in un "anticipiamo l’Onu"?

La risposta è nelle date, ed è una risposta molto triste. L’opposizione non condiziona più la richiesta del ritiro al 30 giugno, giorno che ha a che fare con la situazione in Iraq; ma al 28 maggio, giorno che ha a che fare solo con la situazione in Italia, perché è l’ultima occasione utile prima delle elezioni. L’urgenza elettorale ha preso il sopravvento sulla considerazione di ciò che è utile all’Iraq, annullando così la differenza che aveva finora distinto la sinistra riformista dal pacifismo senza se e senza ma, pur essendo entrambi stati contrari alla guerra.



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Dopo che questa mozione sarà stata votata succederanno le seguenti cose: Brahimi dirà entro la fine di maggio se è riuscito a fare il governo e con chi; gli americani decideranno se accettarlo o meno; le grandi potenze, probabilmente nel G8 della prima decade di giugno e dopo la visita di Bush da Chirac, decideranno se dare il via libera a una nuova risoluzione Onu che riconosca il governo provvisorio varato da Brahimi. In una parola, dopo che in Italia si sarà votato sulla impossibilità della svolta, ci potrebbe essere la svolta. Prodi, lo si capisce dalle dichiarazioni di ieri, non condivide la scelta del ritiro. Fermi allora questa deriva.
A giudicare dalla richiesta ufficializzata nelle ultime ore dai partiti della lista Prodi per l'Europa - il cosiddetto triciclo: un involontario omaggio al livello di (im)maturità della sua classe dirigente? - anche Prodi ormai ha imboccato la strada della richiesta del ritiro senza se e senza ma - oppure, non è neanche in grado di influenzare i comportamenti della coalizione di cui è leader: ipotesi imbarazzante, per un presunto statista di livello europeo.



Insomma, todos Zapateros: come nel caso del leader spagnolo, la scadenza del 30 giugno e cosa farà o non farà l'ONU sono del tutto irrilevanti, anzi si usa la sfera di cristallo (e Prodi, lo sappiamo, è un esperto in sedute spiritiche) per stabilire autorevolmente e una volta per tutte che l'ONU è destinata a fallire - ma, se così anche fosse, questo sarebbe semmai un incentivo a rimanere in Irak: senza ONU e senza truppe occidentali, che ne sarebbe del "popolo iracheno" invocato un giorno sì e l'altro pure dai pacifisti? Qualcuno crede davvero che in Irak tornerebbe magicamente la "pace", e che non si scatenerebbe invece un bagno di sangue di proporzioni inimmaginabili?



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