martedì 31 maggio 2005

Non ci si abitua mai a certe cose

Io, almeno, non ci riesco.

Ogni volta la notizia della morte di nostri militari in missione mi colpisce, mi procura sofferenza: ogni volta è come se morissero dei miei fratelli. Probabilmente perché lo sono, dopo tutto.

Tenente colonnello Giuseppe Lima, 39;
Capitano Marco Briganti, 33;
Maresciallo capo Massimiliano Biondini, 33;
Maresciallo Marco Cirillo, 29.

Sono vicino alle loro famiglie, ai loro cari e ai commilitoni dei reggimenti "Vega" e "Antares" dell'ALE- che i loro nomi e il loro impegno non vengano mai dimenticati.

domenica 29 maggio 2005

Francia, referendum: ha vinto il no

Secondo le prime proiezioni (a cura di TNS Sofres) il "NO" al Trattato costituzionale fra Stati pomposamente ed impropriamente definito Costituzione Europea dagli eurocrati di Bruxelles avrebbe raccolto il 54,5% dei voti, contro il 45,5% dei SI; la percentuale di astenuti risulta molto bassa, e inferiore a quella registrata in occasione del precedente referendum "europeo": 29,5%.

Meno male, per una volta i francesi hanno fatto qualcosa di buono - sia pure, presumibilmente, per le motivazioni sbagliate.

Ora mi auguro che anche gli olandesi votino contro questo indecente papocchio, costringendo tutti a un ripensamento profondo e possibilmente proficuo - insomma, forse l'Europa ha ancora un'ultima, tenue opportunità.

martedì 24 maggio 2005

Con che fa rima Buttiglione?

Leggete qui, e la risposta verrà subito in mente anche a voi.

Comunque, eccovi un aiutino: comincia per "co" e finisce per "ne".

lunedì 16 maggio 2005

Ne uccide piu' la penna...

Poche ore fa Clementina Cantoni, una cooperante italiana appartenente all'organizzazione non governativa "Care International", è stata rapita a Kabul, la capitale dell'Afghanistan.

Care International è la stessa ONG a cui apparteneva Margaret Hassam, la donna inglese (moglie di un iracheno) prima rapita e poi macellata come un maiale dai "valorosi partigiani" (parole di Gianni Vattimo) della "resistenza irachena" (parole dei pacifinti nostrani).

Nei giorni scorsi il settimanale "Newsweek" aveva pubblicato uno scoop, poi rivelatosi falso e basato su notizie non verificate, relativo a presunte profanazioni del Corano verificatesi a Guantanamo.

La notizia ha scatenato un'ondata di proteste antiamericane e antioccidentali in tutto il mondo islamico, proteste che proprio in Afghanistan sono sfociate in scontri che hanno prodotto almeno 16 morti e parecchie decine di feriti.

Oggi il direttore di Newsweek, bontà sua, ha chiesto scusa per la bufala - peccato che i morti provocati dalla mancanza di professionalità dei suoi giornalisti non siano in condizioni di apprezzare il gesto.

Questa sera il rapimento della nostra connazionale, che appare un po' troppo vicino allo sgùb di NW e alle successive reazioni islamiche per essere frutto di una pura coincidenza.

lunedì 9 maggio 2005

Submission, punto e a capo

Da Walking Class.
Ci risiamo. L'Eurabia si presenta anche ai cancelli di Saxa Rubra.

Dopo l'acquetta nelle vene di Cannavaro, Giovanni Masotti decide di mandare in onda il 19 maggio Punto e a capo il cortometraggio di Theo Van Gogh Submission, censurato in tutti i cinema d'Europa (pardon, d'Eurabia) e che era costato la vita al regista olandese, assassinato per le vie della civilissima Amsterdam da un terrorista islamico.

Via Krillix veniamo a sapere che son tornate le minacce, al conduttore e agli autori.

Bene, questa volta non passeranno.

Quando il produttore ritirò il film dalla programmazione, la città di TocqueVille reagì linkando su ogni blog il film di Van Gogh che via Internet tutti possono vedere.

Oggi ci mobiliteremo a difesa di Punto e a capo.

sabato 7 maggio 2005

Nazismo a Torino

Certo, questi sono nazisti rossi, ma sempre di squadrismo antisemita si tratta, di sporco e vile razzismo, di ricorso alla violenza, alla sopraffazione, di violazione dei diritti civili e politici di liberi cittadini colpevoli solo di essere ebrei - non "filo-Sharon" o "sionisti" (le solite foglie di fico dietro cui si nascondono i vigliacchi razzisti di ogni risma e di ogni tempo) : semplicemente ebrei.

Riporto quanto pubblicato su Il Foglio (segnalato da Camillo):

Al direttore - Ho ricevuto questa lettera che ritengo opportuno sia resa pubblica. David Meghnagi, coord. del Comitato accademico per la lotta all’antisemitismo


Gentile Professor Meghnagi , Questa mattina ho svolto regolarmente la lezione, nonostante la bacheca centrale dell’Università fosse decorata da proteste contro la “Santus sionista”.

Tuttavia la protesta è scaturita subito all’uscita del Palazzo Universitario dove gli studenti dei collettivi autonomi mi hanno fermata. La Digos e la Polizia erano fuori dal Palazzo e intorno a me, nel momento del contatto ravvicinato con gli autonomi.

Questa volta non c’è stato il lancio di fumogeni né di uova come la settimana prima, ma uno di questi studenti mi ha fatto presente che Elazar Cohen il viceambasciatore d’Israele non aveva diritto di parola perché “l’esercito israeliano uccide i bimbi palestinesi” e loro avevano diritto di contestarlo. A nulla è valso un tentativo di dialogo.

Quando ho fatto presente che i bambini ebrei muoiono sugli autobus a causa del terrorismo palestinese, mi è stato risposto che è giusto così e che io stessa dovrei fare la stessa fine, perché quella è la legittima lotta del popolo palestinese. Ovviamente, secondo una “studentessa”, quando gli ebrei scelgono di andare a vivere in Israele devono sopportarne le conseguenze.

Ciò che li ha irritati ancor più è stato il fatto che io, a quel punto, abbia dato loro degli antisemiti. Siamo finiti in presidenza. Infatti, non sentendomi tutelata nella mia incolumità (lo “studente” che mi ha detto che sarei dovuta saltare per aria su un autobus, mi ha anche intimato di “stare molto attenta d’ora innanzi” e un altro mi ha assicurato che il prossimo anno verrà a tutte le mie lezioni per contestarmi) […]. Il preside ci ha ricevuti: c’erano gli autonomi, un gruppetto di miei studenti, uno studente israeliano (rimasto sconvolto dal clima di violenza che si respirava) e il mio collaboratore marocchino (islamico).

In presenza del preside gli autonomi hanno dichiarato che io ho commesso dei “gravi errori” e che l’Università di Torino dovrà allinearsi a quelle inglesi nel NON permettere più ad alcun rappresentante israeliano di parlare.

Hanno dichiarato che sono di parte e, quando il mio collaboratore ha fatto presente che ogni mercoledì lavoriamo con testi scritti in arabo, giunti da Gaza, per tutta risposta si è sentito dire che la comunità maghrebina dovrebbe perseguitarlo. Peccato non abbiano detto per quale motivo: forse perché collabora con una docente ebrea?

A questi studenti non piace ciò che insegno perché parlo d’Israele, ma di fatto non sono obbligati a inserire il mio corso: ve n’è uno parallelo nel quale si parla soltanto di Palestina, dal punto di vista palestinese. E il libro che io ho fatto adottare (D. Santus, G. Cusimano, Israele e Palestina, due paesi un solo problema, Torino, Tirrenia Stampatori, 2005) presenta anche il punto di vista palestinese (pur se non quello fondamentalista).

Il preside ha fatto quanto ha potuto per calmare gli animi, soprattutto ha cercato di strappare loro la promessa circa la mia incolumità fisica (ma lo “studente” che mi ha minacciata non è salito in presidenza e una mia laureanda l’ha sentito dire che lui i sionisti li brucerebbe tutti).

Ora che posso fare? E’ vero che la storia di Purim ci insegna che anche una sola persona può cambiare le sorti della storia, ma io non sono la regina Esther e sono drammaticamente sola.

Non uno, tra i miei colleghi, era in aula o in presidenza a dire che la libertà d’insegnamento è fuori discussione, che la libertà di parola è un bene assoluto da non potersi neanche mettere in discussione. Non uno tra i miei colleghi mi ha teso la mano, non uno tra i miei colleghi ha strappato uno dei manifesti con sopra il mio nome.

Lo so che dovrei continuare a lottare, ma ho due figli e uno è troppo piccolo. Hanno vinto gli autonomi, io lascio. Non ho più parlato con la stampa e non lo farò più.

Ho paura? Sì, certo. Ho paura. Il prossimo anno modificherò il mio programma e parlerò di geografia postmoderna e teorie astratte. Israele uscirà dall’Università di Torino e io mi attiverò per cercare “asilo politico” in un’altra università.

Cordialmente shalom

Daniela Ruth Santus, Torino

Lui i sionisti "li brucerebbe tutti", dice lo stronzo - proprio come nel secolo scorso avevano tentato di fare i suoi antenati politici nazionalsocialisti, certo - e nessun collega della "sionista" Santus ha avuto i coglioni per parlare, esprimere solidarietà, denunciare o almeno deplorare questa situazione - e anche questo fa tornare con la memoria a un periodo della storia solo apparentemente lontano.

Casi simili si sono già verificati a Pisa, episodi (apparentemente) meno gravi, ma sempre indicativi di un clima di violenza e di attacco alla democrazia e ai diritti di tutti i cittadini, si sono verificati anche in altre università: la sensazione è che vi sia una sottovalutazione, a vari livelli (dal mondo accademico al mondo della cultura ai mass media), di questi episodi, quando non addirittura una qualche forma di simpatia o almeno di "comprensione" verso i loro responsabili.

Da molti pulpiti "di sinistra" non arriva non dico una predica, ma neanche un flebile sussurro contro queste pratiche degne del peggiore squadrismo nazifascista, e il sospetto purtroppo è che questo accada perché il bersaglio delle aggressioni squadriste sono i "cattivi ebrei massacratori dei palestinesi" (una delle più colossali menzogne mai elaborate in epoca moderna).

Mi chiedo quali sarebbero invece le reazioni se gli aggressori fossero, poniamo, degli skinheads, e gli aggrediti dei "democratici" progressisti e di sinistra come, che so, i militanti pacifisti o no-global (tutti di pura razza ariana, loro, come no): vorrei sbagliarmi, ma penso che in quel caso da sinistra si alzerebbero innumerevoli voci di denuncia e di condanna, e ferme e indignate richieste allo Stato di "fare qualcosa" per contrastare la minaccia alla democrazia e alla libertà rappresentata da queste pratiche - ma, certo, forse io sono solo un cinico all'ultimo stadio, e magari soffro anche di un pregiudizio nei confronti di certa sinistra: sta di fatto, però, che il silenzio di questi giorni è veramente assordante.

mercoledì 4 maggio 2005

Martino: uno dei pochi, veri, liberali italiani

Intervista ad Antonio Martino sul Corriere della Sera.

Martino: fecondazione, voterò quattro sì

«Ero contrario alla legge. I cittadini devono poter decidere da soli».
«I diritti dell’embrione? Allora vietiamo anche l’aborto»


ROMA - «Andrò a votare e voterò quattro sì. Non solo, avrei preferito che ci fosse stato il referendum, non ammesso dalla Corte costituzionale, sull’abrogazione complessiva della legge. Avrei votato sì anche in quel caso, perché una legge in questa materia sarebbe stato meglio non averla». Se c’è una parola, un concetto, un credo politico caro ad Antonio Martino questa parola è liberale. Ed è proprio da qui che il ministro della Difesa parte per spiegare la sua posizione sui referendum per la fecondazione artificiale.
Chi ha votato questa legge sostiene che senza regole l’Italia sarebbe in una condizione da Far West.
«Non avremmo né la giungla né il Far West, ma il comportamento razionale, cosciente e responsabile degli italiani. Chi crede in una democrazia libera lo fa perché si fida del senso di responsabilità e della coscienza dei cittadini. E’ per questo che affida loro il compito di decidere il destino dell’intero Paese. Ma allora perché, in questioni che riguardano direttamente i cittadini stessi, a decidere non dovrebbe essere la loro coscienza ma la coscienza della maggioranza parlamentare?»
Non è un argomento troppo tecnico perché sia direttamente il popolo a decidere?
«Un ragionamento di questo tipo presuppone tre cose: che esistano valori condivisi da tutti, che siano noti ad una elite di parlamentari, e che siano ignoti ai cittadini imbecilli che non saprebbero come comportarsi. Su queste tre ipotesi si basa l’idea di imporre alla gente come comportarsi, l’invasione della politica nella vita privata, lo Stato etico. Un’impostazione che, come liberale, rifiuto. Tanto più che alcune norme di questa legge mi sembrano in contraddizione con altre esistenti nel nostro ordinamento e universalmente accettate».
A cosa si riferisce?
«Prendiamo la fecondazione eterologa, cioè con donatore esterno alla coppia. Nella nostra legislazione nulla vieta l’adulterio che, come noto, può essere un metodo di fecondazione naturale. Che facciamo, ammettiamo l’eterologa se conseguenza di adulterio e la vietiamo se viene fatta in clinica?».
Sta pensando anche alla legge sull’aborto?
«Certo. Se vogliono tutelare i diritti dell’embrione, i fautori di queste norme dovrebbero chiedere anche l’abolizione della legge sull’aborto che riguarda il feto, qualcosa in più dell’embrione. Intendiamoci, io sono contro l’aborto nel senso che non mi sembra certo una pratica desiderabile. Ma sono contrarissimo alla criminalizzazione dell’aborto, perché credo che lo Stato si debba fermare e non legiferare fin dentro le persone. E’ la donna che, in base alle circostanze più disparate, anche drammatiche, deve prendere una decisione di questo tipo».
Eterologa e diritti dell’embrione, restano fuori gli altri due quesiti: la libertà di ricerca e il numero massimo di tre embrioni per l’impianto.
«Sono questioni più tecniche. Anche qui: dobbiamo fidarci della maggioranza parlamentare o della scienza e della coscienza del medico che lavora da professionista su queste cose?».
La legge è stata approvata da uno schieramento trasversale ai due poli. Tuttavia è stata appoggiata più dalla maggioranza che dall'opposizione. Crede che questo abbia fatto perdere voti al centrodestra nelle ultime elezioni regionali?
«No. Penso che questo tema appassioni moltissimo poca gente e appassioni meno tanta gente».
Sarebbe stato meglio votare a maggio e non a metà giugno, quando raggiungere il quorum è più difficile?
«Non credo sia questo il punto. A me piacerebbe che fosse abolita l’insensatezza del quorum. In Svizzera non c’è e la partecipazione dei cittadini è garantita dall’interesse del quesito. Se è interessante va a votare, altrimenti no».
Invita gli elettori del centrodestra, i suoi elettori, ad andare a votare? C’è anche un appello dei parlamentari della Casa delle libertà per chiedere agli italiani di andare alle urne. Lo firmerà?
«No, per il mio ruolo istituzionale. Credo troppo all’importanza delle forze armate per consentire al ministro che ne è responsabile di fare una cosa del genere. Mi permetto il minimo di attività politica possibile ma spero che venga raggiunto il quorum per salvare il referendum, un importantissimo istituto di democrazia diretta».
L’appello all’astensione fatto dal cardinal Camillo Ruini a nome dei vescovi è un’ingerenza nella politica italiana?
«No, è assolutamente legittimo e vorrei ricordare ai miei amici libertari e anticlericali che la libertà o è per tutti o per nessuno. Se noi tutelassimo solo le libertà che ci sono simpatiche alla fine non ne esisterebbe più nessuna. Quasi tutte le opinioni importanti sono minoritarie e quindi vanno tutelate».
Quindi sono strumentali le critiche che gli sono state rivolte da più parti negli ultimi giorni?
«Credo che il cardinal Ruini abbia fatto quello che la sua coscienza gli dice essere il suo dovere. Posso non essere d’accordo con lui, come ho spiegato, ma questo non vuol dire che lui non possa dire la sua».
Come liberale è soddisfatto di quanto fatto finora dal governo Berlusconi?
«Nessun governo è mai sufficientemente liberale. Con il passare degli anni giudicheremo moderatamente socialisti persino Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Ma ad esempio mi piace aver messo la mia firma sotto la legge che ha anticipato la sospensione della leva. Non dimentichiamo che negli Stati Uniti fu Milton Friedman a convincere il presidente Nixon a fare questo passo».
Quando entrò in vigore la legge antifumo lei disse che...
«A proposito, dà fastidio?», si accende una sigaretta.
Prego. Quando entrò in vigore la legge antifumo, intervistato sul «Corriere» da Marco Nese, disse che non la condivideva. Spera che venga cambiata con l’arrivo del fumatore Francesco Storace al ministero della Salute?
«Purtroppo la marcia avanti verso la schiavitù è molto più agevole della marcia indietro: recuperare le libertà che si sono perdute è molto più difficile che perderle. Non credo che quella legge sarà cambiata ma spero molto nella nostra grande dote nazionale: quando chiesero ad Ennio Flaiano cosa pensasse del fascismo lui rispose che era una dittatura resa tollerabile dalla generale inosservanza delle leggi».
Sta dicendo che lei non rispetta i divieti?
«No, li rispetto. Come ministro devo dare il buon esempio».
A proposito di libertà, cosa pensa del riconoscimento delle coppie di fatto, altro tema su cui la Chiesa ha espresso in modo netto il suo no?
«Non vedo perché i gay debbano scimmiottare gli eterosessuali, ma se si può trovare una forma di contratto che ne tuteli i diritti e disciplini i rapporti giuridici sono d’accordo. Anzi, vorrei aggiungere un articolo alla nostra Costituzione».
E cosa direbbe il nuovo articolo?
«Direbbe che la legge non impedirà mai atti di capitalismo fra adulti consenzienti».

Questa America non ci piace

Riporto un editoriale di Galli della Loggia sul Corriere, che sottoscrivo parola per parola.
È ormai abbastanza chiaro come molto verosimilmente sono andate le cose: la morte a Bagdad di Nicola Calipari è stata senz’altro frutto di un incidente.

È però anche abbastanza chiaro che in questo incidente, dovuto in sostanza a un caso sfortunato, abbiano avuto un ruolo comportamenti specifici di entrambe le parti: da parte nostra soprattutto la decisione di tenere gli americani all’oscuro della missione in Iraq dei nostri agenti, per via dell’ostilità Usa al pagamento di qualunque riscatto in caso di rapimento; da parte degli Stati Uniti il modo maldestro con cui fu organizzato e gestito il posto di blocco sulla strada dell’aeroporto, nonché la scarsa preparazione del personale militare ad esso preposto.

Resta però il fatto essenziale: Nicola Calipari è stato ucciso da un proiettile sparato dal fucile di un soldato americano, senza che da parte sua vi fosse altra colpa se non quella di trovarsi a bordo di un’auto che forse (un forse che va molto sottolineato) non si è arrestata in tempo al suddetto posto di blocco. Parte da questo dato di fatto la constatazione della grossolana insensibilità con cui gli Stati Uniti hanno fin qui gestito l’inchiesta sull’incidente, non a caso posta interamente sotto l’egida del Pentagono.

Invece di ammettere la propria responsabilità oggettiva nella morte ingiusta del nostro agente a Bagdad, e di trarne le conseguenze offrendo le proprie scuse (che non necessariamente dovevano avere la forma di un invio davanti alla corte marziale di un povero soldato qualunque), gli Usa si sono chiusi nella corazza di una autoassoluzione a 360?e hanno creduto che con ciò ogni questione fosse chiusa.

Si sono sbagliati; ne resta infatti aperta una e di proporzioni enormi: vale a dire il senso che ha per un qualunque Paese intrattenere uno stretto rapporto di amicizia con gli Stati Uniti. A Washington per primi dovrebbero sapere che quasi sempre essere alleati degli americani non è né comodo né facile. Le ragioni sono fin troppo ovvie: più importante è che la disparità delle forze e della vastità degli interessi rischia a ogni istante di fare apparire l’alleanza un vassallaggio di fatto.

Perché ciò non sia—e non appaia — è necessario che Washington abbia, tra l’altro, costante riguardo ai sentimenti dell’opinione pubblica dell’alleato, a cominciare dal suo sentimento della dignità nazionale e degli interessi che esso rappresenta.

Un Paese che vuole essere leader mondiale deve essere capace di avere questa attenzione. Come seppero averla, infatti, nel pieno della Guerra Fredda, presidenti che si chiamavano Truman, Eisenhower, Kennedy e pure Johnson. I quali, per l’appunto, furono capaci di mettere il ruolo planetario della superpotenza americana in sintonia con gli stati d’animo e i valori delle donne e degli uomini liberi in tutta Europa, e non solo.

Il presidente Bush — che pure ripete di continuo che la lotta contro il terrorismo è identica a quella contro il comunismo — non sembra però capace né di volere né di sapere fare altrettanto: neppure con un Paese come l’Italia che finora, in quella lotta, è stato tra i suoi alleati più fedeli e attivi.

Deve allora essere informato — ed è giusto che a farlo siano proprio gli amici di antica data degli Stati Uniti — che tutto ciò non può restare senza conseguenze, e che se a lui sta giustamente a cuore il morale dei soldati Usa inviati in Iraq, per noi italiani è almeno altrettanto importante il morale dei nostri soldati impegnati in Afghanistan e a Nassiriya: ai quali, abbiamo ragione di credere, il modo di condurre l’inchiesta Calipari da parte americana non è affatto piaciuto.
E a noi con loro.