lunedì 28 febbraio 2005

Libano, il premier Karami si dimette

Dal Corriere della Sera:

Si è dimesso il premier filo-siriano del Libano. L'annuncio è stato dato da Omar Karami in persona, che aveva appena iniziato il suo intervento di fronte al Parlamento riunito per il dibattito sulla mozione di sfiducia.

Incalzato dalle opposizioni e dalle quotidiane manifestazioni di piazza seguite all'omicidio dell'ex premier Rafik Hariri, il capo del governo ha rassegnato le proprie dimissioni e del suo governo accusato di essere complice della Siria nella strage del 14 febbraio a Beirut. «Per la preoccupazione che il governo non diventi un ostacolo per bene del paese, annuncio le dimissioni del governo che ho l'onore di guidare. Possa Dio proteggere il Libano», ha detto Karami durante l'accesa seduta parlamentare.
La notizia ha provocato scene di giubilo tra i parlamentari dell'opposizione ed è stata accolta da una vera e propria ovazione tra i manifestanti riuniti da ormai 24 ore nella vicina Piazza dei Martiri, in aperta sfida al divieto del governo.
(continua)

Beirut, 20mila in piazza contro la Siria

Dal Corriere della Sera:
Almeno 20 mila persone sono scese in piazza dei Martiri lunedì mattina a Beirut per protestare contro l'occupazione militare siriana in Libano, nel giorno in cui il Parlamento apre la discussione sull'attentato che è costata la vita all'ex premier Hariri e ad altre venti persone lo scorso 14 febbraio.
Il Parlamento libanese si è infatti riunito in seduta straordinaria per votare una mozione di sfiducia nei confronti del governo di Omar Karami, presentata dall'opposizione.
I deputati dell'opposizione portano sciarpe bianche e rosse, i colori della bandiera libanese.
(continua)
Dopo gli ucraini, ora è la volta dei libanesi: tante sciarpe, tante bandiere, tanti colori diversi, ma tutti idealmente insieme per la libertà e la democrazia.

Ancora una volta a mancare - peggio: a sventolare da tutt'altra parte - è la bandiera arcobaleno. Chissà perché.

Irak, nuova eroica azione della resistenza

La valorosa "resistenza" di Lilli Gruber, di Gianni Vattimo, di Diliberto, di Pecoraro Scanio, del Manifesto e dei blog antropologicamente superiori ha portato a termine un'altra eroica operazione di martirio contro una folla di indifesi civili iracheni, forse in quanto colpevoli, come gli occidentali, di occupare il sacro suolo dell'Irak.

Dal Corriere della Sera:
Strage in Iraq, la più sanguinosa dalla caduta del regime di Saddam: oltre cento civili sono rimasti uccisi da un'autobomba esplosa lunedì mattina a Hilla (100 km a sud di Bagdad) tra una folla di iracheni. Obiettivo principale un centro medico dove la gente era in coda per ottenere un visto sanitario da utilizzare per trovare lavoro.
Vicino al luogo dell'attentato si trova anche un affollato mercato. Il bilancio dell'attentato è salito ad almeno 110 morti. Lo riferisce un pompiere che ha partecipato alle operazioni di soccorso e che conferma la pista dell’azione kamikaze. «Abbiamo trovato le mani dell’attentatore suicida attaccate al volante dell’automobile saltata in aria, e una copia del Corano sul sedile della vettura», ha detto il vigile del fuoco.
(continua)
Complimenti ai valorosi partigiani iracheni, e complimenti a chi in Italia continua a sostenerli e/o a chiedere il ritiro delle truppe straniere (che poi in pratica è la stessa cosa, al di là dei sottili e fumosi distinguo prodinottiani).

A volte ritornano

Negli ultimi giorni Israele ha reso nota la decisione di liberare alcune centinaia di palestinesi accusati di reati "minori" connessi alla cosiddetta "seconda Intifada" palestinese - in pratica una vera e propria guerra a suon di attentati suicidi contro civili israeliani inermi - come gesto di buona volontà nei confronti della nuova dirigenza dell'ANP e in considerazione dei passi avanti (sia pure, per ora, più formali che sostanziali) fatti dal processo di pace.

Questo, a giudicare da questa notizia, potrebbe rivelarsi un errore, o quantomeno un gesto prematuro:
Freed prisoner killed on terror mission


A former security prisoner released in January 2004 in the deal struck with Hizbullah to secure the return of the bodies of three soldiers and businessman Elhanan Tannenbaum was one of two gunmen shot and killed by soldiers last Tuesday night while attempting an attack at Har Bracha, The Jerusalem Post has learned.

Atsem Mansour, 29, a Fatah Tanzim member from the Balata refugee camp was imprisoned in Israel between October 2001 and January 2004 for his involvement in terrorism. He was one of 462 security prisoners released in exchange for Tannenbaum and the bodies of Staff-Sgts. Benny Avraham, Adi Avitan and Omar Sawayid.

Details were revealed as preparations got under way for the release of 500 security prisoners who will be freed Monday morning at five West Bank checkpoints and at the Erez crossing in the Gaza Strip as a gesture to Palestinian Authority Chairman Mahmoud Abbas.

All the prisoners will be gathered at the Ketziot Prison and bused to the Salem and Jalame crossings in Samaria, the entry point near Be'erotayim not far from Tulkarm, Tarkumiya near Hebron and Beituniya near Ramallah. Those headed for the Gaza Strip will be bused to the Erez crossing and released.

While Israel initially agreed to release 900 security detainees, only the names of the 500 have been published on the Prisons Service Web site and examined by Justice Ministry officials. Security officials said the remaining 400 have yet to be approved, nor has a time for their release been decided.

The security establishment's most current statistics relate to the May 1985 "Jibril deal" in which more than 1,000 prisoners were released: Of the 238 of them released to the West Bank and Gaza, 48 percent, or 114, resumed their terrorist activities.

(continua)

sabato 26 febbraio 2005

Effetto domino in Egitto

Almeno in prospettiva - e comunque, naturalmente, la guerra in Irak è stata inutile e sbagliata, e poi non c'era l'O.K. dell'ONU e della Francia, e Prodi è tuttora fieramente contrario, e dieci imbecilli dal template nero su dieci ci ricordano che anche in Vietnam si erano tenute "libere elezioni", etc. etc...

Mubarak orders direct presidential elections in Egypt

CAIRO (AFP) - President Hosni Mubarak said he had told parliament to amend Egypt's constitution to allow direct presidential elections in which anyone can stand and all citizens can vote by secret ballot.

The announcement, welcomed by the opposition as a first step, comes amid US pressure on Egypt to accelerate democratic reform and follows months of unprecedented protests in which demonstrators have denounced the likelihood of Mubarak being elected to a fifth six-year term.

In a televised speech, Mubarak hailed what he called an historic move signalling a new era of political reform. He said he had asked the constitution to be amended before May in time for the next presidential election.

"I took this initiative to open a new era of reform," said the 76-year-old Mubarak who has ruled Egypt since his predecessor Anwar Sadat was assassinated in 1981. Under the current system, parliament elects a single candidate for the presidency by a two-thirds majority, whose name is then put to a referendum.

The move would "for the first time in Egyptian history, allow everyone who is able and willing to serve the fatherland ... to present their candidacy for direct election as president of the republic."
(continua)

Certo, si tratta solo di un primo passo formale; certo, bisognerà vedere come potranno muoversi realmente i candidati; certo, esiste il pericolo (qui sì, a differenza che in Irak) di elezioni-farsa: ma è pur sempre un primo passo nella giusta direzione - e poi la libertà è strana: ne concedi un dito, tanto per dare un contentino, e va a finire che le persone si prendono tutto il braccio...

venerdì 25 febbraio 2005

Più che una mortadella, un salame

Niente di strano, quindi, che qualcuno abbia pensato di dedicargli cotanto blog (segnalato da 1972).

Luca Coscioni devi morire

E' il titolo di questo post di Liber.t@, che sottoscrivo parola per parola.

Effetto domino in Siria

Dal quotidiano Haaretz:
More than 150 Syrian intellectuals on Wednesday signed a petition calling on Damascus to end its military occupation of Lebanon. The petition was sent to Syrian President Bashar Assad.

"There is no more use of insisting on managing crises using old political solutions," the petition read. "Its time that Syrian adopt a new policy which will take into account new developments, especially the criminal assassination of Rafik al Hariri."

Several Syrian journalists assembled outside the Journalists' Union in Damascus on Wednesday morning. The gathering, however, was not a protest against the regime, but a show of solidarity with the Lebanese people after Hariri's assassination.

The Syrian opposition makes its voice heard periodically in letters it sends to Assad. The group has no real influence on Syrian policy, but criticism of such sensitive issues like Syria's presence in Lebanon is unprecedented.

The petition sent is the second in the past week. Four days ago Syrian intellectuals issued a letter to their Lebanese counterparts asking them not to exert too much criticism on Syria and not to hurt Syrian laborers working in Lebanon.

U.S. President George W. Bush demanded Wednesday that Syria withdraw its forces from Lebanon prior to parliamentary elections scheduled for May. Voices in Lebanon, however, are calling on authorities not to hold elections in the present atmosphere.

Lebanese Prime Minister Omar Karama said Wednesday he would be willing to resign his post if anyone else would be willing to try and assemble a government, under the condition that it would win the parliament's approval.

Egyptian President Hosni Mubarak said Assad promised him that Syrian forces in Lebanon would be re-deployed, adding that he believed Assad would indeed carry out such a move.

Egypt is fearful that intense international pressure on Syria may have an effect on the rest of the Arab states.

Eh già, potrebbe avere effetto, eccome...


Effetto domino in Libano

Così Walid Jumblatt, leader druso dell'opposizione libanese, al Washington Post (registrazione richiesta):
"It's strange for me to say it, but this process of change has started because of the American invasion of Iraq... I was cynical about Iraq. But when I saw the Iraqi people voting three weeks ago, 8 million of them, it was the start of a new Arab world... The Syrian people, the Egyptian people, all say that something is changing. The Berlin Wall has fallen. We can see it."
Gli unici che continuano a non vedere niente, forse a causa delle spesse fette di Mortadella che hanno sugli occhi, sono i nostri politici centrosinistrati...


mercoledì 23 febbraio 2005

Life on Mars?

Le probabilità diventano sempre più alte:
Images relayed by a European space probe reveal the existence of a sea of ice close to the equator of Mars, scientists said Tuesday at a conference in the Netherlands. The existence of water or ice would significantly increase the chance that microscopic life may also be found on Mars.
fonte: Yahoo! News - AP

Un Comitato in difesa dei blogger

Il Committe to Protect Bloggers segnala i casi di intimidazione - o peggio - ai danni di bloggers che vivono in Paesi totalitari o a rischio totalitarismo, e organizza campagne di mobilitazione a loro favore.

I liberal nel mondo arabo ci sono, e fanno paura

Questo almeno è quello che traspare da questo reportage del MEMRI:
Al-Jazeera TV Talk-Show Host: 'Do We Need Terrorists When We Have Such Liberals?'

In response to the many articles published in the Arab press critical of the Al-Jazeera TV channel, Faysal Al-Qassem, host of Al-Jazeera's "Opposite Direction" talk show, published an article in the Qatari daily Al-Sharq, claiming that the liberals in the Arab world are worse than terrorists.

Al-Qassem's article clearly reflects the growing strength of the new Arab liberals and the weakening of extremist elements – such as Faysal Al-Qassem – in face of the "Liberal Offensive." (leggi - in inglese)

Yedioth Ahronoth online

Buon ultimo va online (seppure in versione beta) Yedioth Ahronoth, il principale quotidiano israeliano - e ha pure il blog.

martedì 22 febbraio 2005

USA e Francia: via la Siria dal Libano

Dal Corriere della Sera:

Dopo l’incontro di lavoro a Bruxelles tra il presidente Usa George W. Bush e il presidente francese Jacques Chirac, gli Stati Uniti e la Francia hanno emesso un comunicato congiunto sul Libano, nel quale si condanna l’assassinio dell’ex primo ministro Rafic Hariri e si chiede che il Libano diventi uno stato libero indipendente e democratico.

(...)

«Chiediamo un’applicazione completa e immediata della risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza dell’Onu in tutti i suoi aspetti, incluso quello che chiede un Libano indipendente, sovrano e democratico e...libero da dominazione straniera». I due leader sottolineano l’urgenza dell’applicazione della risoluzione 1559, che implica il ritiro siriano dal Libano. «E’ essenziale, concludono i due, che la risoluzione 1559 sia applicata per organizzare con successo le elezioni. Il popolo libanese merita questa opportunità e siamo al loro fianco nelle loro aspirazioni di libertà».


Effetto domino.

Con Bush e Chirac sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda.

E con una risoluzione ONU, questa volta, che già dice tutto quello che c'è da dire.

E adesso chi glielo spiega, a Prodi?

La guerra? Inutile. La democrazia? Non esportabile.

Questi i due capisaldi del pensiero pacifista e ulivista (ora "unionista"?) in Italia: la guerra contro Saddam, "come tutte le guerre" (sic) non ha risolto e non risolverà mai niente; la democrazia non si può esportare, e in particolare non si può esportare nei Paesi arabi e musulmani; pensare poi che l'effetto combinato di una guerra di liberazione e dell'avvio di un processo di transizione dalla dittatura alla democrazia parlamentare in Irak possa generare nell'area una sorta di effetto domino in grado di favorire dei cambiamenti anche negli altri Paesi dell'area è pura fantascienza, non succederà mai.

Così hanno detto e scritto per anni i giornalisti republicones (primo fra tutti Scalfari) e i leader, capi e capetti dell'Asinistra italiana.

Nel frattempo ci sono state due guerre e due tornate elettorali (in Afghanistan e ora anche in Irak), e le cose iniziano a muoversi anche in altri Paesi:

1. lungi dal demoralizzare i libanesi, l'attentato siriano in Libano ha scatenato una "intifada nonviolenta" (altro che il terrorismo palestinese) contro l'occupazione siriana del Libano (a proposito: niente manifestazioni oceaniche dei pacifinti, in questo caso: evidentemente ci sono occupanti buoni - i siriani - e okkupanti kattivi - gli americani) e contro l'attuale governo-fantoccio libanese: vedi "Lebanese Hold Historic Anti-Syrian March";

2. in Egitto il presidente "liberamente eletto" nel modo (l'unico?) che tanto piace alla nostra sinistra (opposizione terrorizzata, potenziali candidati messi agli arresti: ma queste, per Occhetto, Rizzo e compagni non sono mai state "elezioni farsa"), Mubarak, ha intenzione di candidarsi per la quinta volta consecutiva: anche qui, però, grazie anche a quello che è appena successo in Irak (delle vere elezioni, con veri candidati, e il relativo effetto annuncio: se gli iracheni lo possono fare, perché noi egiziani no?) la gente comincia a scendere in piazza: vedi "Cairo anti-Mubarak rallies grow";

3. per finire, mentre Prodi, Fassino e compagnia cantante in Italia perdono l'ennesima occasione e si schierano contro la missione italiana in Irak - e implicitamente dalla parte di chi vorrebbe veder trionfare i terroristi di Al Zarqawi e i repubblichini di Saddam - altri Paesi non solo non si ritirano, ma inviano altre truppe per supportare il processo di ricostruzione e garantire la sicurezza: vedi "Australia boosts Iraq deployment".

A questo va aggiunta la situazione in Iran, dove il regime teocratico (ma, anche qui, l'unica teocrazia militante che preoccupa i nostri eroici progressisti alle vongole è quella americana) deve fronteggiare una situazione sempre più incandescente, e dove l'opposizione democratica prende ogni giorno sempre più coraggio.

Ma la guerra non è servita a niente, certo - e poi la democrazia, notoriamente, non si può esportare.

sabato 19 febbraio 2005

Nuovi link, e un trasloco

Ho aggiunto in totale cinque nuovi link: Wind Rose Hotel, Volgare e tre Blog Moralmente Inferiori - FreedomLand, Right Thinking e Thommy Blog.

Ho anche aggiornato l'URL del Buroggu, diventato uno splinderiano - tanti auguri :-)

Nonviolenza e "pacifismo"

Ritanna Armeni a "Otto e Mezzo" ne ha sparata un'altra delle sue: ha affermato che oggigiorno nella sinistra la nonviolenza, "sia fra gli intellettuali che nei movimenti", è molto diffusa.

Un classico caso da manuale: ci si appropria di un termine e lo si usa per parlare d'altro - nel caso specifico, si usa il termine "nonviolenza" per indicare il "pacifismo" - e, aggiungo, si usa il termine "pacifismo" per indicare la cultura dell'appeasement, del cedimento.

La nonviolenza non è sinonimo di pacifismo, non ha niente a che vedere col pacifismo a senso unico della sinistra italiana, e i "pacifisti" italiani non hanno niente a che vedere coi nonviolenti gandhiani: basta guardare i cortei dove gruppi di militanti "pacifisti" sfilano (marciano) camuffati da kamikaze palestinesi, con tanto di finta cintura esplosiva, inneggiando alla distruzione di Israele e alla sconfitta degli odiati amerikani o lanciando l'infame slogan "Dieci, cento, mille Nassiriya"; oppure ricordare le vetrine infrante, i Bancomat saccheggiati, le auto incendiate nel corso di tanti cortei "per la PACE".

La nonviolenza non ha niente a che vedere con la cultura dell'appeasement che invece fa sostenere ai nostri "pacifisti" le ragioni dei tiranni, da Saddam agli ayatollah iraniani, dal regime siriano a quello della Corea Del Nord, contro le ragioni della libertà e della democrazia, e fa pronunciare bestialità come "meglio rossi che morti" (molto in voga ai tempi dello scontro sugli "euromissili").

La nonviolenza non è l'apologia della viltà e della resa incondizionata: al contrario è non accettazione del diritto del più forte, è resistenza attiva contro i violenti e i prevaricatori; il nonviolento Gandhi a suo tempo approvò definendola giusta e doverosa la guerra delle democrazie contro il nazifascismo; il pacifismo dei nostri pacifinti a senso unico, che rifiuta la guerra "sempre e comunque" e invoca la pace a tutti i costi, "senza se e senza ma", in realtà è funzionale a quei regimi che conoscono una sola pace: quella dei cimiteri, riempiti coi cadaveri degli oppositori e dei dissidenti.

Prendiamo l'Irak: tutti i nostri pacifinti sono concordi nel sostenere che "adesso si sta peggio di prima" citando a sostegno della loro tesi gli attentati quotidiani, la precarietà dei servizi essenziali come luce e acqua, e il caos che regnerebbe in alcune zone del Paese.

Certo, "prima" l'Irak era un posto molto più tranquillo: niente attentati, niente autobombe, niente manifestazioni di piazza, perfino la criminalità comune era ridotta ai minimi termini e - così come nella Germania nazista, e perfino nell'Italietta fascista, i treni arrivavano in orario - c'erano meno black-out elettrici, almeno nella capitale Baghdad.

Ma tutto questo è normale: è normale che sotto una dittatura la criminalità venga efficacemente repressa (tranne, ovviamente, quella coinvolta col regime o generata dal regime stesso e dai suoi gerarchi, capi e capetti); è normale che non vi siano manifestazioni o scontri di piazza, sabotaggi o attentati; è normale che la gente non si lamenti e non protesti pubblicamente per le proprie condizioni di vita; è normale che i cittadini stranieri possano circolare tranquillamente per strada senza dover temere di essere rapiti, e che le donne possano camminare da sole per strada anche a notte fonda senza correre rischi.

Si chiama Stato di polizia, e sotto uno Stato di polizia chi disturba - non importa se delinquenti comuni, dissidenti politici o semplici appartenenti a gruppi etnici o religiosi invisi al regime - non gode certo delle garanzie di uno Stato democratico, come succede ad esempio a quei terroristi che riescono a muoversi agevolmente, in Europa e in Italia, fra le pieghe di una legislazione che raggiunge livelli di "garantismo" (sic) a volte semplicemente tragicomici.

Chi "disturba" viene arrestato, imprigionato, torturato e infine, spesso, eliminato fisicamente; i suoi amici, parenti, colleghi, compagni di idee vedono tutto questo, e si regolano di conseguenza: ecco quindi che nel Paese apparentemente regna "la pace" - la pace dei cimiteri, però: quella che lo stupido uomo bianco Michael Moore ha involontariamente ritratto nel suo ultimo filmetto anti-Bush, mostrando scene di un surreale Irak pre-guerra popolato da bambini sorridenti e da tante, tante persone tranquille. Perfino troppo.

giovedì 17 febbraio 2005

Non mi deludono mai

Ieri, parlando della diffusione del video di Giuliana Sgrena e del suo strano (?) tempismo (a questo proposito vedi anche cosa scrive oggi Magdi Allam sul Corriere della Sera), avevo scritto:
Apparentemente quindi siamo alla vigilia di una campagna politico-mediatica basata sul ricatto (dall'Irak) e sulle menzogne e sulla malafede (qui in Italia), una campagna che - duole dirlo - vede ancora una volta gli islamo-fascisti nemici della democrazia e del popolo iracheno e i "pacifisti" di casa nostra muoversi di concerto, con un tempismo e una sincronia francamente impressionanti.

Spero di sbagliarmi, ma temo proprio che i titoli dei quotidiani della sinistra "resistente" e i commenti sui blog e sui siti d'area già nelle prossime ore mi daranno ragione.
Oggi L'Unità e il Manifesto, come (purtroppo - per loro) ampiamente prevedibile, rispondono da par loro all'appello, pubblicando in grande evidenza e senza un minimo di accenno di commento critico le parole della giornalista italiana e le menzogne (non trovo termine più adatto) pronunciate dal suo compagno.

Cito dall'Unità:
Il compagno di Giuliana, Pierre Scolari si rivolge direttamente al governo, alle forze politiche e al Parlamento, impegnato in queste ore proprio a decidere il rifinanziamento della missione militare in Iraq. «Chiedo di ritirare le truppe ma non per Giuliana - dice orgoglioso - lo chiedo per il popolo iracheno. Kofi Annan lo ha detto chiaramente - aggiunge - in questa situazione l'Onu non può andare (cioè sostituirsi alle truppe della coalizione ad esempio con caschi blundr) bisogna prima cambiare le condizioni...».
Peccato che in realtà l'ONU in Irak ci sia (già) andata da un pezzo e che Kofi Annan, lungi dal proclamare il "tutti a casa", abbia ribadito anche di recente che non solo in Irak devono rimanere (finché lo vorranno gli iracheni) le forze straniere attualmente presenti (nota per L'Unità e Il Manifesto: per forze straniere Annan intende americani, inglesi, italiani e gli altri soldati della Coalizione, non i terroristi infiltratisi attraverso le frontiere di Siria e Iran), ma anzi che anche i Paesi che fino a ieri si erano tenuti fuori dal processo di ricostruzione del Paese ora dovrebbero finalmente decidersi a fornire supporto tecnico, economico, logistico e anche, se necessario, militare.

Riporta Camillo (no permalink), ad esempio:
Annan: "Molti pensano che l'Onu non sia presente in Iraq. E' sbagliato"
Kofi Annan spiega due o tre cose a Fassino. Clamorosa smentita della ridicola posizione del centrosinistra (che prende lezioni di riformismo anche da Fini, sul Riformista).
Davvero, questo articolo di Annan sul Washington Post è clamoroso: il capo dell'Onu dice che l'Onu ha già un mandato e non ne chiede altri. Chiede solo alla comunità internazionale, cioè a chi NON è in Iraq, di impegnarsi in Iraq.
E, quanto alla pretesa volontà del popolo iracheno di veder andar via "subito" gli stranieri, "tutti gli stranieri", cito ancora Camillo (permalink):

Ormai ogni giorno si trova un politico, un intellettuale o un analista di centrosinistra che ricorda sommessamente alla propria parte politica come l'Onu in Iraq ci sia già, come il processo politico sia stato avviato proprio dalle Nazioni Unite, come le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza siano lì e tutto quanto.

(...)

La sinistra-sinistra italiana però resta inchiodata sul ritiro delle truppe. Il motivo? Solo così si aiuterebbero gli iracheni, dicono. Eppure, prima di esserne così sicuri, sarebbe magari il caso di ascoltare che cosa vogliono gli iracheni. Il presidente, che è sunnita, si chiama Ghazi Al Yawar. E' quello vestito da sceicco.
La settimana scorsa ha ripetuto per l'ennesima volta che chiedere il ritiro delle truppe americane "è assolutamente privo di senso"
.
Uno dei portavoce della lista sciita che dovrebbe aver vinto le elezioni, e che piace all'ayatollah Sistani, Mowaffaq Al Rubaie, ha detto che la prospettiva del ritiro "è una ricetta per il disastro".
Uno dei leader della stessa Grande Alleanza, Ibrahim Jaafari, ha ribadito che "se gli Stati Uniti si ritirassero troppo presto, ci sarebbe il caos".
La stessa cosa dicono il premier laico Ayyad Allawi e gli altri politici iracheni, siano essi sciiti o sunniti o curdi. (e, aggiungo io, la stessa cosa è stata detta anche dai leader del Partito Comunista Iracheno: questo non suggerisce niente ai comunisti italiani?, NdR)
Anche la sinistra americana dice la stessa cosa. E lo ha detto nel modo più autorevole possibile, con il capogruppo dei Democratici alla Commissione Esteri del Senato, Joe Biden.

(...)

Oggi gli unici a chiedere il ritiro dei contingenti militari sono soltanto Al Zarqawi e i nostalgici della dittatura. Possibile che coloro che si candidano a guidare l'Italia non riescano a vedere questo banalissimo fatto? Possibile che non si accorgano di come gli omicidi e le stragi colpiscono prevalentemente civili e politici iracheni? I repubblichini di Saddam e i fascisti islamici di Zarqawi non lottano soltanto contro l'America ma, esplicitamente, contro il futuro democratico e liberale dell'Iraq.
(Da leggere, inoltre, l'intervista ad Ahmed Chalabi pubblicata oggi sul Corriere)

D'altra parte questo (la permanenza in Irak delle truppe straniere fin quando necessario - e richiesto dagli iracheni) è anche nello spirito - e nella lettera - di almeno due risoluzioni ONU, evidentemente sconosciute a quei leader del centrosinistra, Prodi in testa, che anche ieri hanno votato contro il proseguimento della missione italiana in Irak perché, a loro dire, manca un preciso coinvolgimento/mandato/benedizione/cenno di assenso dell'ONU, e "il Governo italiano non intende chiederlo": ma perché il Governo dovrebbe "chiedere" qualcosa che c'è già dal 2003? Ma questi si ascoltano, quando parlano?

Prendiamo, ad esempio,
la Risoluzione n. 1546 del Consiglio di Sicurezza dell' ONU, approvata in data 08-06-2004 (segnalata ieri da Milton):
" The Security Council,

... Welcoming the willingness of the multinational force to continue efforts to contribute to the maintenance of security and stability in Iraq in support of the political transition, especially for upcoming elections, and to provide security for the United Nations presence in Iraq, as described in the letter of 5 June 2004 from the United States Secretary of State to the President of the Council, which is annexed to this resolution ;...

9. Notes that the presence of the multinational force in Iraq is at the request of the incoming Interim Government of Iraq and therefore reaffirms the authorization for the multinational force under unified command established under resolution 1511 (2003), having regard to the letters annexed to this resolution;

10. Decides that the multinational force shall have the authority to take all necessary measures to contribute to the maintenance of security and stability in Iraq in accordance with the letters annexed to this resolution expressing, inter alia, the Iraqi request for the continued presence of the multinational force and setting out its tasks, including by preventing and deterring terrorism, so that, inter alia, the United Nations can fulfil its role in assisting the Iraqi people as outlined in paragraph seven above and the Iraqi people can implement freely and without intimidation the timetable and programme for the political process and benefit from reconstruction and rehabilitation activities;...

14. Recognizes that the multinational force will also assist in building the capability of the Iraqi security forces and institutions, through a programme of recruitment, training, equipping, mentoring, and monitoring;

15. Requests Member States and international and regional organizations to contribute assistance to the multinational force, INCLUDING MILITARY FORCES, as agreed with the Government of Iraq, to help meet the needs of the Iraqi people for security and stability, humanitarian and reconstruction assistance ..."
Più chiaro di così...

Altro che "l'ONU non può andare", altro che "gli iracheni chiedono il ritiro di tutti gli stranieri", altro che "manca il coinvolgimento delle Nazioni Unite".

Io sto con gli ippopotami

Un lettore - che ringrazio - mi segnala che Carlo Pedersoli, a.k.a. Bud Spencer, è candidato alle elezioni regionali (in Lazio) nelle liste di Forza Italia.

Riporto volentieri la segnalazione, con l'augurio che il nostro Big Man possa mietere un meritato successo anche in cabina elettorale - certo, lui rispetto ad altri candidati parte con degli handicap (di solito non indossa pashmine o keffie, non chiama "resistenti" i terroristi e probabilmente ritiene che il modo migliore per aiutare gli iracheni non sia quello di lasciarli, soli e disarmati, in balia dei repubblichini di Saddam e dei tagliatori di teste di Al Qaeda), ma io sono ottimista.

mercoledì 16 febbraio 2005

Sequestro Sgrena: una sofisticata operazione politico-mediatica

Dopo la diffusione del video che ritrae Giuliana Sgrena mentre lancia un appello per la propria liberazione e per il ritiro delle truppe (di tutte le truppe straniere, non solo di quelle italiane) dall'Irak il quadro del rapimento si fa molto più chiaro.

Fino a poche ore fa c'erano ancora dei margini di incertezza: chi da una parte parlava di rapimento "politico" ad opera dei gruppi terroristici che operano sul territorio iracheno, chi dall'altra invece ipotizzava un "normale" sequestro a scopo di estorsione, chi ancora mescolava le due cose e parlava di un rapimento da parte di delinquenti comuni che poi avrebbero "girato" l'ostaggio a una delle tante formazioni terroristiche che sgomitano per acquisire "merito" - e visibilità - nei confronti di Al Zarqawi e della dirigenza di Al Qaeda.

Il video diffuso stamane ci permette di stabilire alcuni punti fermi e di fare alcune considerazioni:
  • forse Giuliana Sgrena è stata rapita, inizialmente, da delinquenti comuni, e forse no: sta di fatto che adesso è indubitabilmente sotto il controllo di una formazione terroristica, composta da membri o da emuli delle formazioni armate ba'athiste o qaedane;

  • i terroristi che tengono in ostaggio la giornalista italiana non sono affatto degli sprovveduti, non si tratta di "bassa manovalanza": al contrario, il gruppo dimostra di conoscere molto bene la situazione politica interna italiana, e di sapere agire in modo da ottenere il massimo risultato col minimo sforzo - mi pare evidente che il fatto che il video sia stato diffuso proprio nel giorno in cui in Italia ci si appresta a votare il rifinanziamento della nostra missione in Irak, dopo quasi due settimane di totale assenza di un qualsivoglia segnale (niente foto della rapita o dei suoi documenti, niente registrazioni audio della sua voce, niente di niente) non è certo casuale;

  • il video della Sgrena ha subito scatenato in Italia una mobilitazione forse senza precedenti volta a far passare acriticamente sui media quello che è, in buona sostanza, il punto di vista dei terroristi: il compagno della Sgrena, intervistato alle 12:35 dal telegiornale di Italia Uno, dopo avere rilanciato pari pari l'appello per il ritiro delle "truppe d'occupazione" (sic, NdR) ha affermato che le forze politiche italiane, in particolare quelle di governo, dovrebbero rivedere la loro posizione favorevole alla permanenza della forza di pace italiana in Irak perché, testuali parole, "tutti i partiti politici iracheni, tutti" hanno chiesto il ritiro delle truppe straniere dall'Irak.
Ora, questo è palesemente falso: non solo la formazione del premier provvisorio Allawi, ma anche la coalizione che ha vinto le elezioni, quella del leader sciita Al Sistani, e tutti i principali partiti che si sono presentati alle elezioni del 30/01, anche partiti che sarebbe difficile definire di sicura fede filo-americana come il Partito Comunista Iracheno, hanno chiesto esattamente il contrario: hanno affermato che il ritiro potrà avere luogo solo quando la polizia e l'esercito iracheni saranno in grado di garantire autonomamente la sicurezza, non un giorno prima.

Apparentemente quindi siamo alla vigilia di una campagna politico-mediatica basata sul ricatto (dall'Irak) e sulle menzogne e sulla malafede (qui in Italia), una campagna che - duole dirlo - vede ancora una volta gli islamo-fascisti nemici della democrazia e del popolo iracheno e i "pacifisti" di casa nostra muoversi di concerto, con un tempismo e una sincronia francamente impressionanti.

Spero di sbagliarmi, ma temo proprio che i titoli dei quotidiani della sinistra "resistente" e i commenti sui blog e sui siti d'area già nelle prossime ore mi daranno ragione.

I Mattei? Incendiarono la casa da soli

È quanto ha dichiarato Lollo a "Porta a Porta", su Rai 1:
«L'innesco è scoppiato tra le mie mani, poi sono caduto sul cartello che Marino stava lì collocando facendo un chiasso enorme... quando mi sono rialzato si sente la voce: eccoli arrivano...». È il racconto frammentato che Achille Lollo ha fatto dell'attentato alla casa dei Mattei, avvenuto 32 anni fa, in una intervista a 'Porta a portà. A Vespa che gli ha fatto notare che dalla sua ricostruzione emergerebbe che i Mattei si sono incendiati da soli la casa per simulare un attentato e utilizzarlo politicamente, Lollo ha risposto :«Sì evidentemente. Perchè se io non avessi questa convinzione non sarei qui a fare questa intervista... C'è una verità controversa che è successa... Ma è questo che è successo».
(Fonte: Corriere della Sera).

Insomma, tutto chiaro, tutto regolare: i Mattei hanno incendiato il proprio appartamento da soli e hanno bruciato vivi due dei propri figli, di cui uno di otto anni, per gettare discredito sugli avversari politici.

Non fa una piega, vero?

...vero?

O no?

...

Avete ragione, forse no.

lunedì 14 febbraio 2005

Nazioni Unite, ovvero gli impuniti

Le Nazioni Unite ogni giorno che passa riservano sempre nuove sorprese, e non sono sorprese positive: dopo il coinvolgimento nel colossale scandalo "Oil for Food", ora arriva la notizia dell'esistenza di una vera e propria rete di stupratori e pedofili presso la missione ONU in Congo:
UNITED NATIONS — A scandal about the sexual abuse of Congolese women and children by U.N. officials and peacekeepers intensified Friday with the broadcast of explicit pictures of a French U.N. worker and Congolese girls and his claim that there was a network of pedophiles at the U.N. mission in Congo.

ABC News' "20/20" program showed pictures taken from the computer of a French U.N. transport worker. The hard drive reportedly contained thousands of photos of him with hundreds of girls. In one frame, a tear can be seen rolling down the cheek of a victim.

The news report coincided with the U.N.'s new "zero-contact" rule banning any interaction between U.N. soldiers and locals in Congo.

The staffer, Didier Bourguet, 41, is facing charges of sexual abuse and rape in France. His lawyer, Claude de Boosere- Lepidi, said in court last week that there was a network of U.N. personnel who had sex with underage girls and that Bourguet had engaged in similar activity in a previous U.N. posting in the Central African Republic.

Bourguet's case is the only one that has been prosecuted among 150 allegations against about 50 soldiers and U.N. civilian officials who have served in the Congo peacekeeping mission. At least seven cases of sexual exploitation and abuse have been documented against peacekeepers based in Bunia, a northeastern town. One civilian has been suspended until the investigation is complete, and another has resigned. The U.N. is conducting further investigations and expects to find more cases.

Secretary-General Kofi Annan sent a letter to the Security Council on Wednesday announcing a set of strict measures designed to stem the sexual abuse that has haunted peacekeeping operations for decades. The Democratic Republic of Congo has the U.N.'s largest peacekeeping mission, with 13,950 soldiers and 1,875 civilian employees, and thus has the greatest potential for problems.

Peacekeepers are no longer allowed to have contact with Congolese except to carry out their official duties, and cannot even buy fruit from vendors; they must wear their uniform even when off-duty or off their base. A general curfew has been imposed from 6 p.m. to 6 a.m., and bars and some cafes have been designated off limits to U.N. soldiers and civilians. Offenders will be repatriated.

La notizia non fa che confermare notizie e accuse precedenti (si parla infatti di oltre cinquanta soldati e funzionari civili delle Nazioni Unite coinvolti, e l'ONU stessa ipotizza ulteriori casi): avete mai letto qualcosa in proposito sui giornali della sinistra pacifista, o sui blog sempre pronti a denunciare come orrendi crimini di guerra le "torture psicologiche" (alcuni integralisti islamici detenuti a Guantanamo sarebbero stati interrogati nientemeno che da "donne soldato"...) inflitte agli islamo-fascisti dai sadici, kattivi amerikani?

Avete visto l'Unità, il Manifesto e i blog della sinistra (pardon: dell'Asinistra) pacifinta pubblicare per giorni e giorni in prima pagina le foto degli stupratori col distintivo ONU e le lacrime delle loro vittime, come hanno fatto con le foto di Abu Grahib - ma anche con quelle (quasi immediatamente riconosciute false dallo stesso quotidiano britannico che le aveva pubblicate - ma in Italia la smentita "stranamente" è stata ignorata) dei soldati "torturatori" inglesi?

Secondo voi che macello inenarrabile sarebbe scoppiato se in Congo gli stupratori pedofili fossero stati dei soldati o dei civili americani anzichè, come nel caso di questo mascalzone, francesi? L'immaginazione vacilla.

San Valentino in salsa wahabita

Incredibile ma vero: fra i mille divieti fatti rispettare dal "Comitato per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio" (sic, NdR) ce n'è anche uno relativo alle rose rosse per San Valentino:
RIYADH, Saudi Arabia (Reuters) - Saudi Arabia’s morality police are on the scent of illicit red roses as part of a clampdown on would-be St Valentine’s lovers in the strict Muslim kingdom.

The Committee for the Promotion of Virtue and Prevention of Vice, Saudi Arabia’s powerful religious vigilantes, have banned shops from selling any red flowers in the run-up to February 14.

Florists say the move is part of an annual campaign by the committee — whose members are known as “mutawwaeen” or volunteers — to prevent Saudis marking a festival they believe flouts their austere doctrine of “Wahhabi” Islam.

“They pass by two or three times a day to check we don’t have any red flowers,” said a Pakistani florist in Riyadh’s smart Sulaimaniya district. “Look, no red. I’ve taken them all out,” he said pointing to a dazzling floral collection covering every color of the rainbow except one.

Saudi Arabia’s purist version of Islam recognizes only two religious occasions a year — the Muslim feasts after the fasting month of Ramadan and the Haj pilgrimage.

Celebration of the Islamic New Year or the Prophet Mohammad’s birthday, common in other Muslim countries, is frowned upon in Saudi Arabia.

Valentine’s Day, or the “Feast of Love” in Arabic, is beyond the pale in a country where women must cover themselves from head to toe in public and be accompanied by a male guardian.
D'altra parte, perchè stupirsi? I talebani in Afghanistan avevano proibito perfino gli aquiloni, l'ascolto della musica e le scarpe femminili con i tacchi (le donne non solo dovevano restare confinate in casa praticamente 24 ore al giorno, ma anche in casa dovevano muoversi senza fare rumore e senza quindi attirare l'attenzione dei maschi, sic).

Realtà irachena e paraocchi italiani

Editoriale del sempre puntuale Magdi Allam sul Corriere della Sera:
È del tutto infondato il timore che la maggioranza dei seggi del nuovo Parlamento attribuita meritatamente ma anche fortunosamente alla «Lista irachena unitaria», che s'ispira al grande ayatollah sciita Ali al Sistani, possa trasformare l'Iraq in una teocrazia. Tanto è vero che nel nome stesso dell'alleanza che raggruppa ben 17 partiti non figura il termine «islam».

Ciò si deve al fatto che essa è soltanto un cartello elettorale tra forze integraliste e laiche, sciite, sunnite e cristiane, arabe, curde e turcomanne. Basta leggere la piattaforma programmatica dove, pur riconoscendo l’islam come «religione di Stato», si afferma che l’obiettivo comune è un «Iraq costituzionale, pluralista, democratico e federale». È del tutto evidente che la proposta della teocrazia manderebbe in frantumi la lista di Al Sistani. Figuriamoci se sarebbe in grado di reggere il confronto con un parlamento dove ci sarà un sostanziale equilibrio tra deputati islamici e laici.

Ed è proprio questo il risultato più significativo del primo voto libero nella storia dell’Iraq. Certamente laiche sono l’Alleanza curda di Talabani e Barzani, la «Lista degli iracheni» del premier sciita Allawi e «Il partito degli iracheni» del presidente sunnita Al Yawar, che insieme hanno conquistato circa il 45 per cento dei seggi. A cui vanno aggiunti i deputati laici presenti in seno alla Lista di Al Sistani. Tanto è vero che i rappresentanti dei principali gruppi premiati dalle urne hanno manifestato l’opportunità di dar vita a un governo di unione nazionale per assicurare il più ampio consenso possibile alla nuova Costituzione. Che da un lato consacrerà la cornice dello Stato federale e dall’altro registrerà, sul piano dell’identità nazionale, un compromesso tra gli islamici e i laici tale da escludere l’applicazione della sharia quale unica fonte della legge dello Stato.

La vera preoccupazione di Al Sistani non sarà affatto quella di imporre la sharia , bensì di salvaguardare l’eterogeneo e fragile cartello elettorale. Basti pensare che ben quattro suoi esponenti di spicco si contendono la carica di futuro primo ministro: Adel Abdul Mahdi, attuale ministro delle Finanze; Ibrahim Jaafari, vice-presidente e leader di Al Dawa; Hussein Al Shahristani, scienziato nucleare e politicamente indipendente; Ahmed Chalabi, laicissimo ed ex uomo di fiducia del Pentagono. Ebbene, con spirito sportivo, Jaafari ha annunciato: «Vinca il migliore, l’importante è che sia moderato perché solo così si può governare una nazione plurale come la nostra».

Se proprio dovessimo fare il raffronto con il temuto imam Khomeini, allora Al Sistani ricorda il primissimo leader della rivoluzione islamica iraniana. Quello che scendendo dalla scaletta dell’ Air France che lo riportò in patria nel febbraio 1979, si presentò a capo di una ampia coalizione che spaziava dai liberali ai comunisti. Fu soltanto in un secondo tempo che, un po’ alla volta, lo spietato Khomeini li fece fuori tutti, compreso il suo stesso Partito della Repubblica islamica. Perché avendo stabilito che lui incarnava il Bene, tutto il resto era il Male. Ebbene è da escludere che Al Sistani possa permettersi un’involuzione autoritaria e sanguinaria. In primo luogo perché lui stesso si è sempre espresso contro la teocrazia.

E anche se cambiasse opinione non la potrebbe imporre all’insieme di uno Stato che non sarà centralizzato bensì federale. Certamente non l’accetterebbe l’Alleanza curda che, sul lungo termine, emergerà come il vero vincitore delle elezioni. Ha ottenuto circa il 27% dei seggi del Parlamento nazionale, l’89% dei seggi del Parlamento del Kurdistan e il 59% dei seggi del Consiglio provinciale di Al Taamin, il cui capoluogo è Tikrit. Il controllo di Tikrit, la fortezza petrolifera dell’Iraq, darà ai curdi una formidabile arma per consolidare un’autonomia in vigore ormai da 13 anni. Complessivamente il voto ha confermato la straordinaria vittoria dell’insieme del popolo iracheno con il 58,3% di elettori che sono andati alle urne sfidando il terrorismo. Così come ha segnato la sconfitta del partito del boicottaggio e del partito dei catastrofisti che avevano profetizzato e auspicato uno scenario da guerra civile. Ora invece a testa bassa sia l’infido «Consiglio degli ulema» sunniti sia il forsennato Moqtada al Sadr stanno trattando sotto banco il loro coinvolgimento nella stesura della nuova Costituzione. Loro, di fronte all’evidenza dei fatti, si sono arresi. Da noi invece sono ancora in troppi coloro che si ostinano a interpretare la realtà irachena con i propri paraocchi ideologici.

Nota per i pacifinti e i "progressisti" (regressisti?) italiani distratti: l'autonomia curda a cui fa riferimento Allam non è una gentile concessione del "legittimo capo di Stato" iracheno, Saddam Hussein, ma il risultato della istituzione da parte degli americani e dei loro alleati, già dal 1991, di una "zona di interdizione" che ha impedito a Saddam e ai suoi macellai di perpetrare ulteriori atrocità contro i curdi, e ha consentito agli abitanti del Kurdistan iracheno di avviare, molto prima che nel resto del Paese, il processo di transizione verso la democrazia.

Naturalmente, ogni volta che gli anglo-americani sono intervenuti a difesa delle popolazioni curde abbattendo elicotteri o cacciabombardieri dell'aviazione di Saddam o attaccando le installazioni dell'esercito iracheno che potevano minacciare le forze impegnate nella difesa della "no-fly zone", i "pacifisti" italiani hanno strillato come aquile contro "l'aggressione amerikana" e contro "l'indebita interferenza" di una potenza straniera (i soliti imperialisti, ovvio...) negli "affari interni" del regime nazistoide di Saddam: avete notizia, in tutti questi anni, di analoghe manifestazioni di protesta contro l'aggressione e il tentativo di sterminio dei curdi da parte di Saddam? A me non risultano, come, parlando d'altro (ma in realtà è sempre la stessa cosa), non mi risulta che in questi mesi qualcuno a sinistra abbia organizzato manifestazioni di protesta contro la corsa al nucleare militare da parte del regime (quello sì) teocratico iraniano, o che in questi giorni i pacifisti si siano moblilitati in risposta alla dichiarazione ufficiale, da parte di un ministro del Governo della Corea del Nord, di possedere armi nucleari.

Eppure, più volte gli ayatollah iraniani hanno dichiarato esplicitamente che intendono usare le armi nucleari per "risolvere", una volta per tutte, il "problema" rappresentato dall'esistenza di Israele e degli ebrei in generale; eppure, già due anni fa il regime nord-coreano minacciò esplicitamente il Governo giapponese, dichiarando che aveva la capacità di trasformare Tokyo in un "oceano di fuoco nucleare": possibile che in questi casi nessun pacifista senta il bisogno di "parlare di pace"?

domenica 13 febbraio 2005

Sondaggio!

Il Riformista online ha posto ai suoi lettori questa domanda: "Se il centrosinistra vincerà le elezioni, chi vorresti a Palazzo chigi in ticket con Prodi?"

Ecco le risposte:
Piero Fassino 27%
Massimo D'Alema 19%
Walter Veltroni 20%
Ti tocchi 31%
Non so 3%
Attualmente quindi sta vincendo "Ti tocchi", col 31% - niente male, davvero niente male..

Otimaster ha cambiato casa

Problemi di affidabilità della vecchia piattaforma (iobloggo.com) hanno fatto maturare la decisione.

Il suo nuovo indirizzo sul Web è otimaster.ilcannocchiale.it - fategli una visita, e aggiornate i vostri link.

Voto sull'Irak ed elezioni italiane

Dal Riformista un ottimo editoriale che i leader, capi e capetti del centro-sinistra farebbero bene a leggere con attenzione:
Triste storia di un voto smarrito dall’Ulivo
Disunione: perché il no all’Iraq vale una obiezione di coscienza


Vorremmo raccontarvi la storia di un voto smarrito. Smarrito dall’Ulivo, intendiamo. Smarrito alle europee e smarrito oggi, alla vigilia delle regionali. E’ una storia che per motivi personali conosciamo bene, e poiché il titolare di questo voto risiede nel Lazio, la raccontiamo a vantaggio dell’incolpevole Marrazzo. Pare che nella sfida di aprile anche un solo voto conti molto, visto l’equilibrio tra i due poli. E se contano quelli della Mussolini e quelli di Pannella, magari qualcuno presterà attenzione anche al nostro piccolo voto smarrito.
E’ un voto che si smarrisce con cadenza semestrale: ogni volta che il centrosinistra dice no al finanziamento della missione italiana in Iraq, cioè dice sì al ritiro. Il titolare del voto suddetto si è chiesto se una singola posizione politica può inficiare il suo senso di appartenenza a uno schieramento; se, cioè, vale il suo voto. E, dopo lungo travaglio, si è risposto di sì. Per tre ragioni: una morale, una politica e una nazionale.

La ragione morale: in Iraq non è in gioco un sistema pensionistico o uno sconto fiscale. Sono in gioco, come ha detto Fassino, la vita e la morte. Se i soldati italiani si ritirassero, e i terroristi facessero strage di iracheni a Nassiryia, la coscienza di quel voto ne sarebbe gravemente ferita. Il nostro voto si domanda perfino se, in materie come questa, non debba valere per i parlamentari del centrosinistra la libertà di coscienza. Se vale per la fecondazione assistita, perché si tratta di vita, dovrebbe valere anche per la fecondazione della democrazia irachena, anch’essa questione di vita o di morte. Dunque, per obiezione di coscienza, il nostro voto non può aderire a una decisione che, se attuata, può portare morte.

La ragione politica: il nostro elettore ha fortemente sperato nella nascita della Fed, o aggregazione riformista. E’ ovviamente disposto ad accettarne gradazioni differite, dipendenti dalle contingenze della politica. Ciò che non può accettare è la sua inutilità, la prova provata che è una finzione. Il senso della Fed, infatti, (e anche la ragione esclusiva dell’appartenenza del nostro elettore allo schieramento di opposizione) sta nel dare cittadinanza a una posizione che non è identica a quella della sinistra radicale. Per non essere identica, essa assume forma politica, promettendo così di guidare con la sua forza elettorale e con i suoi programmi l’intera opposizione. Qui e là, farà dei cedimenti, in nome dell’unità. Ma sull’essenziale non sarà etero-diretta. Altrimenti, che esiste a fare?

Il nostro voto smarrito vede invece che sull’Iraq i membri della Federazione vorrebbero prendere una posizione sensata (la guerra è finita, la democrazia è iniziata: essere stati ieri contro la guerra equivale ad essere oggi per la democrazia); ma non possono perché gli altri non vogliono. Vuol dire che faranno sempre quello che dicono gli altri, in nome dell’unità? Ma, allora, si stava meglio prima, quando la Fed non c’era: almeno qualcuno – metti la Margherita – poteva andare per la sua strada. Così la Fed diventa la prigione di cui non solo Bertinotti, ma pure Folena (si parva licet) ha le chiavi.

Il nostro voto sa bene che in politica conta vincere. Non ha mai amato le battaglie di testimonianza. Capisce che l’opposizione accarezza un 12 a due alle regionali, o simili, e che venderebbe la mamma pur di averlo. Niente di male. Ma si chiede: l’unità dell’opposizione su posizioni sbagliate accresce o riduce le chance di vittoria? Quando l’elettorato dovesse capire che oggi è l’Iraq, domani la patrimoniale, e che in nome dell’unità comanda sempre il più disunitario, premierebbe l’unità o ne avrebbe paura? Alle europee il ritiro in nome dell’unità non fece un gran bene alla lista Prodi. I piccoli voti smarriti, forse, furono più d’uno.

La ragione nazionale: il nostro voto smarrito, di solito, si esprime a favore di chi può governare l’Italia. Ha creduto alla massima per cui una forza politica è di governo solo se si comporta all’opposizione come si comporterebbe al governo. Deve dunque dedurne che, se fosse al governo, il centrosinistra ritirerebbe oggi le truppe dall’Iraq. In piena transizione alla democrazia? Contravvenendo a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu votata all’unanimità (la 1546)? Rifiutando l’appello del governo iracheno? Mentre anche l’Europa comincia a far qualcosa nel processo di nation-building? Se avvenisse, sarebbe un duro colpo all’attendibilità internazionale dell’Italia. E il nostro piccolo voto smarrito è pure patriottico.

Tutto considerato, quel piccolo voto non ha dubbi: la questione irachena (di oggi, non di ieri) ha la valenza morale, politica e nazionale per costringerlo, se del caso, a ritirarsi dal centrosinistra.

giovedì 10 febbraio 2005

La prima Giornata del Ricordo

Sì, la prima, dopo sessanta anni di silenzio e di colpevole rimozione.



Almeno diecimila italiani gettati (spesso ancora vivi) nelle foibe, trecentocinquantamila italiani cacciati dai comunisti jugoslavi dall'Istria e dalla Dalmazia: qui un sito per ricordare - o più spesso, per molti giovani e non solo, per scoprire per la prima volta l'orrore delle foibe.



Armi nucleari, la Corea del Nord getta la maschera

"Abbiamo armi nucleari, e annunciamo la sospensione dei colloqui a sei sull'argomento".



Questo, in sintesi, il messaggio che arriva dal regime comunista nordcoreano (dal Corriere della Sera):

SEUL - La Corea del Nord ha ammesso per la prima volta di avere armi nucleari. La dichiarazione è stata attribuita al portavoce del ministro degli Esteri, che ha anche comunicato come la Corea voglia sospendere a tempo interminato la sua partecipazione ai colloqui a sei sul suo programma nucleare sul proprio programma nucleare con Cina, Giappone, Russia, Corea del sud e Stati Uniti. La notizia è stata riferita dall'agenzia sudcoreana.



«ARMI PER DIFERNDERCI DAGLI USA» - La Corea del nord ha anche detto di aver prodotto armi nucleari per sua difesa. «Abbiamo fabbricato armi nucleari per fronteggiare la politica di Washington tesa a isolare e soffocare» il nostro Paese - ha affermato il ministro degli Esteri, aggiungendo che «le armi resteranno un deterrente per autodifesa in ogni circostanza».



LE RICHIESTE - Pyongyang fa sapere che la sospensione della partecipazione ai colloqui sul nucleare proseguirà fino a quando non sarà stato appurato che vi sia «un fondato motivo per noi per parteciparvi e condizioni ed atmosfera tali da far presupporre che i colloqui possano portare a risultati positivi».

Il ministero degli Esteri attribuisce poi «l'attuale stallo nei colloqui a sei alla politica di ostilità nei confronti di Pyongyang da parte degli Stati Uniti». Di fronte all'evidente tentativo degli americani di rovesciare il sistema politico della Corea del nord «ad ogni costo», questa è costretta a prendere provvedimenti «per rafforzare il proprio arsenale di armi nucleari in modo tale da proteggere ideologia, sistema, libertà e democrazia (sic, NdR) scelti dal proprio popolo».

«Resta immutata - conclude tuttavia il comunicato - la posizione di principio» della Corea del nord di «risolvere la questione attraverso il dialogo ed il negoziato, ed immutato l'obiettivo finale che si è posta, quello di denuclearizzare la penisola coreana».



Un altro giorno, un altro nome

Francamente la cosa sta diventando veramente ridicola, e anche vagamente surreale.



A quanto pare il centro-sinistra (ma assomiglia sempre di più a un sinistra-centro, per la verità) ha partorito una nuova sigla per l'ammucchiata l'alleanza elettorale anti-berluska.



In principio era l'Ulivo, poi è arrivata la FED, quindi la GAD seguita da quella autentica meteora (è durata meno di 24 ore) che è stata la UPLD: ora pare che i vertici della Cosa Senza Volto abbiano trovato un accordo che soddisfa (finalmente) tutti.



In un primo tempo avevano pensato di adottare una sigla in grado di richiamare mnemonicamente e di rappresentare in maniera democratica e paritaria tutte le componenti politiche coinvolte, e le loro infinite sfumature: FEDGADULIVDEMPROGRANTROPSUPCORRENTONRIFONDAROL

VERDCOMUNISTITALIANDIPIETRISTOKKETTIANPUNKABBEST

DISOBBPACIFINTVEGETARIANMULTICULTRELATIVISTKYUZZ



Sfortunatamente, però, una sigla simile mal si presta ad essere correttamente interpretata (e apprezzata) dall'elettore medio, notoriamente a digiuno di alchimie politico-partitiche e di beghe di cortile: alla fine si è deciso quindi per un nome proprio, e per un simbolo facile da riconoscere e ricordare:



Gad: il nuovo nome e' "L'Unione"



ROMA - Dovrebbe essere 'l'Unione' il nuovo nome della coalizione di centrosinistra, raffigurato in un simbolo con l'apostrofo rosso per richiamare l'Ulivo. Lo si apprende in ambienti della Gad che precisano l'assenza di altri elementi decorativi, quali foglie o piante.

Dico, vi rendete conto? Mesi di discussioni al calor bianco, amicizie ventennali andate in frantumi, infine il ricorso disperato ai santoni del marketing (ma non era Forza Italia, il "partito di plastica"?) e tutto per cosa?

Per scopiazzare, nel nome e nel simbolo, (L'Unità online)... l'Unità!



Non ho parole...



P.S.: a proposito degli "elementi decorativi", in realtà qualcosina ci sarà: pare infatti che del simbolo farà parte anche l'arcobaleno dei pacifinti, tanto per non smentirsi mai.





Salvatore Stefio

Salvatore Stefio è online con il suo blog. Che ne direste di passare a fargli un salutino?



martedì 8 febbraio 2005

Il blasone di Pannella

Angelo Panebianco sul Corriere della Sera:



Solo chi non conosce quanto sia singolare la storia dei radicali di Marco Pannella può stupirsi del fatto che essi oggi, senza imbarazzo, trattino contemporaneamente con il centrosinistra e con il centrodestra per un possibile accordo elettorale. Non si tratta di «trasformismo», il pendolarismo tra sinistra e destra da sempre praticato, in cambio di poltrone, dal notabilato italiano. Ha a che fare, invece, con quel carattere anomalo e anticonformista dei radicali che ha sempre reso difficile, per amici e avversari, «classificarli»: talché, nella loro storia, i radicali hanno avuto spesso la ventura di essere considerati «di sinistra» dalla destra e «di destra» dalla sinistra.
La ragione per cui essi possono trattare con la sinistra come con la destra, suscitandovi sia apprezzamento che repulsione, è semplice. I radicali hanno qualcosa (ma solo qualcosa) in comune con entrambe. Da liberal-libertari, hanno in comune con una parte della destra la scelta «occidentalista», pro-americana (e tanto più pro-americana quanto più gli americani fanno proprio ciò che non piace alla sinistra, si impegnano per esportare democrazia e libertà), e una propensione per il liberalismo di mercato (ciò che in Italia viene detto «liberismo»): riduzione delle tasse, liberalizzazioni.
Contemporaneamente, sono in conflitto con la destra sui diritti civili: lo scontro sulla fecondazione assistita (letta dai radicali, in modo a mio giudizio un po' riduttivo, come una questione «solo» di diritti civili) è l'ultimo episodio di una lunga sequela di conflitti che hanno visto i radicali, fin dai tempi del divorzio, contrapporsi, prima ancora che al moderatismo italiano, alla gerarchia cattolica. A parti rovesciate, quel che vale per la destra vale per la sinistra.
Con la sinistra i radicali hanno punti di contatto sui diritti civili (furono proprio loro, con le loro battaglie, nel corso degli anni, a spingere una parte della sinistra ad apprezzarli) ma ne sono distanti sia su molte questioni di politica internazionale (Iraq in testa) sia sui temi della libertà economica. Essendo l'unico partito italiano coerentemente individualista (nel senso che rigorosamente individualista è la sua concezione della libertà) si trovano ad avere qualche affine, per ragioni diverse, in entrambi i poli, insieme a nugoli di nemici da tutte le parti.
Per giunta, i poli sono internamente eterogenei e quindi i radicali hanno avversari a sinistra anche sul côté dei diritti civili (la polemica con la Chiesa non piace ai cattolici di sinistra, e il garantismo radicale disturba i giustizialisti) e avversari a destra (ad esempio, la destra sociale di An) anche sul côté delle libertà economiche. Per non parlare dell'opposizione della Lega, il cui «comunitarismo» è poco compatibile con l'individualismo radicale, e dei cattolici dell'Udc. Pannella lo sa e quindi non propone alleanze organiche: chiede solo, all'uno o all'altro dei due schieramenti, «ospitalità».
I leader dei poli si trovano di fronte a un dilemma. Con questo sistema elettorale, ove bastano pochi voti a decidere la vittoria, lo schieramento che fa l'accordo acquista un vantaggio. Al tempo stesso, è difficile piegare i più acerrimi nemici dei radicali. Convenienze elettorali a parte, nei due poli l'alleanza con i radicali è voluta soprattutto da coloro che aspirano a connotare in senso più «liberale» il proprio schieramento. I radicali possono far perdere voti ma anche farne guadagnare. Hanno un blasone temuto e ambito. Proprio di chi, nella sua ormai lunga storia, ha dato lezioni di libertà a tanti senza mai bisogno di prenderne da nessuno.


Il Muro di Berlino? L'hanno eretto gli americani

Riporto da L'Opinione (segnalato anche da Lexi e NewBlogNewBlog):

I libri di storia di Luciano Gallino, consulente di Prodi al programma di governo. Ora gli italiani sanno cosa li aspetta



Il Muro di Berlino? Lo hanno eretto gli alleati e buttato giù i sovietici insieme ai tedeschi dell’Est




Il Muro di Berlino? Costruito dagli occidentali e smantellato dai comunisti sovietici e della ex Germania Est. Per poi potere riunificare le due Germanie.

Secondo il sociologo Luciano Gallino e la sua collega Ivana Vitrotto, autori di un indimenticabile testo di storia e di economia per i licei dal titolo "Stato giuridico - stato economico" (Lattes editore), le cose nel secolo passato andarono così.



Luciano Gallino è l'uomo di punta dello staff di Prodi per il programma di governo alternativo a quello di Berlusconi. Cosicché si sappia a cosa va incontro chi lascia la via vecchia per quella nuova.



Nel passo incriminato, segnalato dal professor Vincenzo Merlo di Rodengo Saiano, in provincia di Brescia, e ripreso ieri in una particolareggiata interrogazione del senatore Guglielmo Castagnetti di Forza Italia al ministro Moratti e al suo collega dell'Università e della ricerca, si legge precisamente così: "La fine della II guerra mondiale (1945) segnò la sconfitta della Germania da parte di USA-URSS-Gran Bretagna e Francia. I paesi vincitori si spartirono il territorio tedesco in quattro settori e la città di Berlino avrebbe dovuto essere posta sotto il controllo sovietico, in quanto collocata nella parte orientale della Germania.

Tuttavia, a causa del ruolo fortemente simbolico rivestito dalla capitale, le potenze occidentali nel 1961 riuscirono ad attuare il proposito di separare materialmente la città in due zone con la costruzione di un muro che segnasse il confine tra il sistema capitalistico dell'ovest e l'economia socialista dell'est.

Soltanto il 9 novembre 1989, il presidente della Germania orientale Krenz, d'intesa con il presidente russo Gorbaciov, annunciò la demolizione del Muro e la riunificazione delle due “Germanie".



Ogni ulteriore commento a simili menzogne e mistificazioni appare qualcosa di superfluo e pleonastico. I fatti e la malafede ideologica si commentano da soli. Mezzo mondo ha visto gli studenti dell'est e dell'ovest smantellare a picconate quel Muro e mezza Berlino piange i 1550 morti che da vivi avevano tentato di sfuggire a uno dei peggiori regimi che l'umanità abbia conosciuto, quello del criminale Honecker, secondo, forse, solo a Hitler per la ferocia con cui represse per oltre 50 anni i propri cittadini.



Ci si domanda poi se costringere dei giovani a studiare queste puttanate non possa prefigurare di per sé un reato a parte di lesa intelligenza del prossimo.Peraltro il professor Merlo ha fatto conoscere anche altre perle nel dossier inviato sui libri di testo, abbondantemente finanziati dallo stato, adottati dalle sue parti. Prendiamo un altro esempio dal testo "Lineamenti fondamentali di diritto pubblico" di Realino Marra edito da Zanichelli (pag. 89): "...dopo alcuni Governi di transizione, negli ultimi anni del terrorismo culminati con il rapimento e l'uccisione dello statista democristiano Aldo Moro da parte delle cosiddette Brigate Rosse.."



Qualcuno trasalirà e la memoria tornerà indietro agli articoli dei primi anni '70 in cui anche gente di valore come Bocca parlava di "sedicenti Brigate Rosse". Ma almeno all'epoca il fenomeno era poco frequentato e gli intellettuali e i sociologi sparavano nel mucchio per fare sensazionalismo, sempre attenti a non tradire le origini sinistrorse del terrorismo rosso, ma anzi attenti a suggerire una possibile matrice fascista.



Ancora un esempio? Ma sì, crepi l’avarizia, e si prendano le pagine 105 e 106 del testo “Stato e mercato” di Luigi Bobbio, Vittorio Falletti e Maurizio Maggi (Einaudi Scuola, volume classe prima – anno 2002): “.. l’atteggiamento verso le diseguaglianze è ciò che distingue in modo più evidente la sinistra e la destra..le politiche volte a ridurre o abolire le disegueglianze sociali sono in genere avversate dalla destra. Esistono due tipi di argomenti contro l’eguaglianza a cui corrispondono due tipi di destre: la destra tradizionalista (autoritaria) e la destra liberista. La destra tradizionalista sostiene che le diseguaglianze sono ineliminabili..anche essa implica il rafforzamento dello stato: non per ridurre le diseguaglianze, ma per mantenerle e impedire che coloro che stanno sotto si ribellino contro coloro che stanno sopra..



Ecco a scuola i nostri figli oggi studiano queste cose e uno dei cattivi maestri è il consulente principe di Romano Prodi al programma di governo. Gli italiani almeno sappiano cosa li attende.




lunedì 7 febbraio 2005

Si stava meglio quando si stava peggio

Questo, in riferimento all'Irak, pare essere il pensiero dell'Asinistra italiana, quella dei "resistenti" e dei "partigiani" iracheni: è anche quanto ha suggerito Michael Moore nel suo ultimo filmetto propagandistico, mostrando le immagini di un Irak ante-guerra popolato da gente serena, da bambini sorridenti - niente a che vedere col terrore portato dai kattivi amerikani, insomma.



Ogni tanto, però, la realtà irrompe sulla scena e ricorda a tutti quanto si stava peggio quando si stava peggio:

FOSSA COMUNE



Cadaveri sepolti in giardino




Trenta cadaveri sepolti nel giardino. Quel che resta dei «giochi di società» con i quali Alì il Chimico intratteneva gli amici. Lo racconta il reporter del Sunday Times , Adam Nathan. La polizia irachena ha trovato nei giorni scorsi una fossa comune nel giardino di una villa che ha ospitato l’ex generale del regime di Saddam (nonché cugino del raìs) Alì Hassan Al Majid, conosciuto come Alì il Chimico per aver massacrato i curdi del Nord del Paese con i gas velenosi.

I corpi seppelliti tra le piante sarebbero i resti di prigionieri usati dal generale e dai suoi amici come vittime di un sadico «tiro al bersaglio».

Un ufficiale della polizia irachena, il maggiore Jasin Hamed Taleb, racconta al giornalista britannico che contadini locali hanno assistito a diversi omicidi: gli invitati al «party» che sparavano in direzione di detenuti legati a strutture metalliche nel giardino. «Non avevamo notato questa fossa - dice il maggiore - finché non ce l’hanno indicata». Una volta arrivati nel posto in cui erano stati seppelliti i corpi, racconta, hanno capito che i contadini non mentivano: il terreno era impregnato dell’odore dei cadaveri.

Le foto della fossa comune entreranno adesso nel pacchetto voluminoso delle prove a carico di Alì il Chimico, in cella in Iraq. Quando a maggio si aprirà il processo a Bagdad, l’ex generale dovrà rispondere innanzitutto della repressione degli sciiti iracheni nel ’91 e dell’uso delle armi chimiche contro i curdi nel 1988.

In aula, tra le prove, saranno anche presentate alla Corte le registrazioni in cui Alì minacciava le vittime: «Li taglieremo come cocomeri». Nastri prodotti durante le «vivaci» riunioni del partito Baath. In una delle audiocassette si sente l’ex generale promettere l’annientamento dei villaggi curdi con i gas. Alì dice che saranno così tanti a morire che le truppe dovranno «seppellire i cadaveri con i bulldozer».
Fonte: Corriere della Sera (no permalink)



Le due Simona, Giuliana Sgrena e gli ostaggi giusti

Segnalo un post di Rolli, che condivido pienamente.



Andrea's version

Arrivato a questo punto, un avversario leale la domanda se la pone. Un avversario leale, che vuole vincere lealmente, se vede Romano Prodi dire in televisione: “Siamo per un’Italia che vuole la felicità”, si chiede cosa c’è sotto.



Cos’è successo?, si domanda. Perché uno scemo così non è possibile. Se Sinjawskj si interrogava: “Arriverà l’Urss al 1984?”, nello stesso modo il minuscolo avversario leale non può non chiedersi, oggi: “Arriverà Prodi al 2006?”.



Non siamo di quelli che dividono l’Italia tra il bene il male, tra stronzi e meno stronzi, tra teste o no di minchia. Non siamo tra quelli che sospettano che Prodi sia stato all’Iri. Non siamo di quelli che gli rinfacciano di aver cercato di favorire Carlo De Benedetti sull’affare Sme. Non crediamo che avesse da nascondere qualcosa a Di Pietro.



Non vogliamo neanche pensare che, in effetti, uno che ha fatto le sedute spiritiche su Moro, possa essere deficiente al punto da mettere la felicità in un programma politico. Niente di tutto questo. Ma allora vogliamo sapere come ha fatto, Walter Veltroni, a sostituire il professor Prodi con John Belushi.


(Il Foglio, 05/02)



domenica 6 febbraio 2005

La Francia dalla parte dei tiranni - di nuovo

Il Governo francese non perde occasione per schierarsi dalla parte sbagliata: dopo l'Irak di Saddam, ora è il turno dell'Iran degli ayatollah:



Iran: la Francia vieta manifestazione della resistenza iraniana

Sergio D’Elia: Resa francese al regime dei mullah



Roma, 6 febbraio 2005



La Prefettura di Parigi ha cancellato la manifestazione della resistenza iraniana in piazza Trocadéro a Parigi a favore della democrazia e contro la violazione dei diritti umani in Iran, prevista per il 10 febbraio prossimo, 26° anniversario della rivoluzione anti monarchica del 1979.



Secondo gli organizzatori, più di 40.000 iraniani di tutta Europa avevano l'intenzione di parteciparvi; più di 250 parlamentari dei paesi europei avevano aderito a sostegno dell’appello della Presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, Maryam Rajavi, per un cambiamento democratico in Iran; una sessantina di organizzazioni francesi avrebbero partecipato alla manifestazione, tra cui l'Associazione dei lavoratori magrebini, il Consiglio dei democratici musulmani della Francia, l'Unione degli studenti ebrei della Francia, Ensemble contre la peine de mort, l'Organizzazione Mondiale contro la Tortura, il Partito Radicale di Sinistra.



“Il regime tirannico dei mullah ha ottenuto quello che voleva,” ha dichiarato Sergio D’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino, che aveva dato la sua adesione alla manifestazione di Parigi. “Impedire con l’arma del ricatto politico e commerciale che avvenga in Europa ciò che con le armi della violenza e della intimidazione il regime iraniano impedisce ogni giorno in Iran: la pur minima e pacifica manifestazione di dissenso.”



“Ma qui non si tratta più – ha proseguito D’Elia – della cattiveria del potere teocratico e oppressivo iraniano; in discussione è la credibilità del sistema giuridico e democratico europeo. Con il divieto opposto dal governo francese alla manifestazione della resistenza iraniana, Parigi si dimostra essere la capitale europea della intolleranza verso il dissenso e del cedimento alla tirannia.”



“D’altra parte – conclude D’Elia – l’Unione Europea continua a fare affari con un paese che nel mondo è secondo solo alla Cina quanto a numero di esecuzioni, dove alle ultime elezioni hanno potuto partecipare solo candidati islamicamente corretti, dove non c’è più neanche il gioco delle parti tra riformatori e conservatori e si detta legge solo in base al Corano.”

Fonte: Radicali.it



CVD - Come Volevasi Dimostrare

Circa la puntata di SpazioSette condotta da Rula Jebreal e dedicata all'Olanda sono stato fin troppo facile profeta.



Ecco alcune perle:



1. Ragazza marocchina: "Theo Van Gogh era un tipo strano, un prepotente... diceva tutto quello che gli passava per la testa... (già, una barbara usanza occidentale: si chiama libertà di espressione, se non ricordo male, NdR)



2. e ancora: "In fondo Van Gogh se l'è cercata, ha girato quel film così offensivo, quello sceneggiato dalla sua amica somala... ecco, se è morto è tutta colpa della sua amica..." (il solito rovesciamento delle parti: da vittime a colpevoli, NdR)



3. Un'altra ragazza, con il tono indignato di chi denuncia un intollerabile sopruso: "Tutti noi a casa parliamo la nostra lingua, chi arabo, chi turco... qui a scuola invece non possiamo, siamo obbligati a parlare solo olandese..." (già, che canaglie questi olandesi: pretendono addirittura che, in una scuola olandese, i futuri cittadini olandesi parlino l'olandese - assurdo, vero? NdR)



4. Tanto per portarsi avanti col lavoro, un gruppo islamico ha intentato una azione legale volta a bloccare la produzione di "Submission 2" - il seguito del film costato la vita a Theo Van Gogh - prima ancora che sia stata girata una sola scena, quindi prima ancora di conoscerne i contenuti (evidentemente Allah non è solo Grande e Misericordioso, ma anche Preveggente, Ndr)



5. L'imam di una moschea di Rotterdam: "La faccenda dell'omicidio di Van Gogh è una storia ormai passata, conclusa. Non se ne deve parlare più, proibisco ai miei fedeli di parlarne ancora." (ma sì, scurdammoce 'o passato, NdR)



6. Il responsabile di un centro culturale islamico: "Quello che è successo è che un pazzo ha detto delle cose strane sull'Islam, e un altro pazzo lo ha ucciso. Tutto qui." (in realtà l'assassino di Van Gogh secondo i risultati delle indagini era legato a un gruppo islamico collegato agli attentatori responsabili della strage di Madrid e, indirettamente, ad Al Qaeda, NdR)



In conclusione: con trasmissioni obiettive ed equilibrate come questa, chi ha bisogno di Al Jazeera?



sabato 5 febbraio 2005

Theo Van Gogh

Questa sera La7 TV dedica la prima puntata di una sua nuova trasmissione di approfondimento alla situazione in Olanda.



Speriamo bene: a condurre la trasmissione c'è Rula Jebreal, la giornalista "palestinese" (non esiste uno Stato palestinese) con passaporto israeliano che, in un passato recente, ha tessuto lodi sperticate nei confronti di Al Jazeera, affermando che le migliori testate occidentali hanno da imparare da questo megafono dei terroristi (definizione data ad Al Jazeera da molti cittadini iracheni, e non solo) e dovrebbero copiare il suo stile.



Se tanto mi dà tanto, stasera potremmo scoprire che Theo Van Gogh in realtà non è stato ucciso da un militante islamico, ma si è suicidato apposta per gettare il discredito su quei poveri jihadisti innocenti.



A proposito di elezioni farsa

Ecco delle elezioni veramente libere e democratiche, che non hanno fatto sorgere il minimo dubbio e non hanno provocato il minimo commento negativo da parte dell'Asinistra pacifinta italiana (dal blog Iraq the Model):



Elections vs. elections



I received this sarcastic article via e mail from a Syrian friend who's a member of the "Reform Party of Syria". The article talks about the latest election in Syria and compares between this one and the Sunday elections of Iraq.



Here's the whole article:



Doubt reigns over the outcome of Syrian elections; Outside observers question legitimacy of Bashar Assad’s 99% victory over (now presumed missing) opponent.



Results from Monday’s Syrian elections were announced today, with a clear mandate handed to Bashar Assad, with his ruling Ba'ath party sweeping the elections with a staggering 95% of the votes.

However, opposition parties such as the Communist Party and the Liberal Syrian Nationalist Party voiced complaints that their election results of negative 5 and 3 percent respectively were products of an unfair and rigged election process.

The head of the Ba'ath party regional politburo promised to immediately look into allegations of fraud and “resolutely and mercilessly deal with complaints so that they never ever happen again...ever.”!



CNN analyst Fareed Zakaria however moved fast to point out that the high voter turnout rate ought to be looked at as a positive developmental sign for democracy in Syria.

“With a 90% voter turnout rate, Syria remains light years ahead in the field of democratic involvement as opposed to one certain neighboring Arab so called democratic state…I don’t want to start naming names here or getting into a game of my-Arab-country-is-more democratic-than-yours…but lets face it, Syria’s elections went off without a hitch and were never marred with the uncertainty and chaos of not knowing who was going to win.



When asked for their opinion on the remarkably high turnout of Syrian voters, unfriendly election ‘monitors’ simply shrugged and pointed to their bats.



A number of Middle Eastern experts also praised the convenient simplicity and easy to understand ballot for the Syrian presidential elections.

While the ballots in the recently conducted Iraqi elections included as many as a hundred different entities and nearly seven thousand candidates, the Syrian ballot was in contrast much more compact allowing for little room for voter confusion
(in most instances the ballots were already pre-marked in favor of Bashar Assad).



In addition, Ba'athist officials this year introduced a new ‘voter friendly’ ballot to ensure that absolutely no Syrian citizen would be faced with the dilemma of indecision (let alone chaos) that plagues many voters in the democratic world. At the top of each ballot now stands a picture of a smiling Bashar Assad above a caption that reads:

‘Vote, your life may depend on it’.



Ba'athist elections officials were mulling using a more direct slogan next year ‘Vote or die’ but feared comparisons with a similar slogan by American channel MTV urging young people of that country to vote.

However, Syrian Ba'ath officials were quick to remark that any superficial similarities between the slogans were completely coincidental and not to be taken in similar context. ‘Believe me, we mean it in a totally different way’ said Nabil Wahshi, general secretary of the Damascus Ba'ath party. (quanto a questo, non stento a crederlo, NdR)



In a New York Times editorial, Michigan University’s professor of Middle Eastern studies Juan Cole said that he saw the elections in Syria as a model for other Arab countries to follow. “The last thing the Arab people need is a red herring like ‘free and open elections’ to distract them from the international Zionist/Neo-Con conspiracy to take their oil” Professor Cole then added that President Assad’s ability to gain such a high percentage of the vote “all the while maintaining an oligarchic cult of personality oppressive regime mired in nepotism and corruption” was “truly impressive” and a positive sign of “Arab solidarity.”



Indeed, many regional experts contend that the Syrian elections are the most legitimate to date among any held in the Arab world. According to one (unnamed) Syrian political analyst, “The Syrian elections are totally legitimate and a great advancement of Arab pride. No one can say that Bashar Assad heads a puppet regime, it is not controlled by foreign outside forces… or by the people, and it is completely unbeholden and unaccountable to anyone!



In a sign of international solidarity, Richard Gere phoned to give his congratulations to president Assad and according to one observer was overheard playfully teasing Assad -reportedly remarking- “hey buddy, 20 more years eh ?”



Assad in a televised address this Tuesday said that he wished to thank the Syrian people “from the bottom of my heart” for their support and continued faith in his Baathist regime, cryptically concluding that “While I may not be able to thank each and every one of you who voted for me… rest assured, someone on my behalf will be paying a visit for those of you who did not.” !