sabato 19 febbraio 2005

Nonviolenza e "pacifismo"

Ritanna Armeni a "Otto e Mezzo" ne ha sparata un'altra delle sue: ha affermato che oggigiorno nella sinistra la nonviolenza, "sia fra gli intellettuali che nei movimenti", è molto diffusa.

Un classico caso da manuale: ci si appropria di un termine e lo si usa per parlare d'altro - nel caso specifico, si usa il termine "nonviolenza" per indicare il "pacifismo" - e, aggiungo, si usa il termine "pacifismo" per indicare la cultura dell'appeasement, del cedimento.

La nonviolenza non è sinonimo di pacifismo, non ha niente a che vedere col pacifismo a senso unico della sinistra italiana, e i "pacifisti" italiani non hanno niente a che vedere coi nonviolenti gandhiani: basta guardare i cortei dove gruppi di militanti "pacifisti" sfilano (marciano) camuffati da kamikaze palestinesi, con tanto di finta cintura esplosiva, inneggiando alla distruzione di Israele e alla sconfitta degli odiati amerikani o lanciando l'infame slogan "Dieci, cento, mille Nassiriya"; oppure ricordare le vetrine infrante, i Bancomat saccheggiati, le auto incendiate nel corso di tanti cortei "per la PACE".

La nonviolenza non ha niente a che vedere con la cultura dell'appeasement che invece fa sostenere ai nostri "pacifisti" le ragioni dei tiranni, da Saddam agli ayatollah iraniani, dal regime siriano a quello della Corea Del Nord, contro le ragioni della libertà e della democrazia, e fa pronunciare bestialità come "meglio rossi che morti" (molto in voga ai tempi dello scontro sugli "euromissili").

La nonviolenza non è l'apologia della viltà e della resa incondizionata: al contrario è non accettazione del diritto del più forte, è resistenza attiva contro i violenti e i prevaricatori; il nonviolento Gandhi a suo tempo approvò definendola giusta e doverosa la guerra delle democrazie contro il nazifascismo; il pacifismo dei nostri pacifinti a senso unico, che rifiuta la guerra "sempre e comunque" e invoca la pace a tutti i costi, "senza se e senza ma", in realtà è funzionale a quei regimi che conoscono una sola pace: quella dei cimiteri, riempiti coi cadaveri degli oppositori e dei dissidenti.

Prendiamo l'Irak: tutti i nostri pacifinti sono concordi nel sostenere che "adesso si sta peggio di prima" citando a sostegno della loro tesi gli attentati quotidiani, la precarietà dei servizi essenziali come luce e acqua, e il caos che regnerebbe in alcune zone del Paese.

Certo, "prima" l'Irak era un posto molto più tranquillo: niente attentati, niente autobombe, niente manifestazioni di piazza, perfino la criminalità comune era ridotta ai minimi termini e - così come nella Germania nazista, e perfino nell'Italietta fascista, i treni arrivavano in orario - c'erano meno black-out elettrici, almeno nella capitale Baghdad.

Ma tutto questo è normale: è normale che sotto una dittatura la criminalità venga efficacemente repressa (tranne, ovviamente, quella coinvolta col regime o generata dal regime stesso e dai suoi gerarchi, capi e capetti); è normale che non vi siano manifestazioni o scontri di piazza, sabotaggi o attentati; è normale che la gente non si lamenti e non protesti pubblicamente per le proprie condizioni di vita; è normale che i cittadini stranieri possano circolare tranquillamente per strada senza dover temere di essere rapiti, e che le donne possano camminare da sole per strada anche a notte fonda senza correre rischi.

Si chiama Stato di polizia, e sotto uno Stato di polizia chi disturba - non importa se delinquenti comuni, dissidenti politici o semplici appartenenti a gruppi etnici o religiosi invisi al regime - non gode certo delle garanzie di uno Stato democratico, come succede ad esempio a quei terroristi che riescono a muoversi agevolmente, in Europa e in Italia, fra le pieghe di una legislazione che raggiunge livelli di "garantismo" (sic) a volte semplicemente tragicomici.

Chi "disturba" viene arrestato, imprigionato, torturato e infine, spesso, eliminato fisicamente; i suoi amici, parenti, colleghi, compagni di idee vedono tutto questo, e si regolano di conseguenza: ecco quindi che nel Paese apparentemente regna "la pace" - la pace dei cimiteri, però: quella che lo stupido uomo bianco Michael Moore ha involontariamente ritratto nel suo ultimo filmetto anti-Bush, mostrando scene di un surreale Irak pre-guerra popolato da bambini sorridenti e da tante, tante persone tranquille. Perfino troppo.

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