martedì 22 febbraio 2005

La guerra? Inutile. La democrazia? Non esportabile.

Questi i due capisaldi del pensiero pacifista e ulivista (ora "unionista"?) in Italia: la guerra contro Saddam, "come tutte le guerre" (sic) non ha risolto e non risolverà mai niente; la democrazia non si può esportare, e in particolare non si può esportare nei Paesi arabi e musulmani; pensare poi che l'effetto combinato di una guerra di liberazione e dell'avvio di un processo di transizione dalla dittatura alla democrazia parlamentare in Irak possa generare nell'area una sorta di effetto domino in grado di favorire dei cambiamenti anche negli altri Paesi dell'area è pura fantascienza, non succederà mai.

Così hanno detto e scritto per anni i giornalisti republicones (primo fra tutti Scalfari) e i leader, capi e capetti dell'Asinistra italiana.

Nel frattempo ci sono state due guerre e due tornate elettorali (in Afghanistan e ora anche in Irak), e le cose iniziano a muoversi anche in altri Paesi:

1. lungi dal demoralizzare i libanesi, l'attentato siriano in Libano ha scatenato una "intifada nonviolenta" (altro che il terrorismo palestinese) contro l'occupazione siriana del Libano (a proposito: niente manifestazioni oceaniche dei pacifinti, in questo caso: evidentemente ci sono occupanti buoni - i siriani - e okkupanti kattivi - gli americani) e contro l'attuale governo-fantoccio libanese: vedi "Lebanese Hold Historic Anti-Syrian March";

2. in Egitto il presidente "liberamente eletto" nel modo (l'unico?) che tanto piace alla nostra sinistra (opposizione terrorizzata, potenziali candidati messi agli arresti: ma queste, per Occhetto, Rizzo e compagni non sono mai state "elezioni farsa"), Mubarak, ha intenzione di candidarsi per la quinta volta consecutiva: anche qui, però, grazie anche a quello che è appena successo in Irak (delle vere elezioni, con veri candidati, e il relativo effetto annuncio: se gli iracheni lo possono fare, perché noi egiziani no?) la gente comincia a scendere in piazza: vedi "Cairo anti-Mubarak rallies grow";

3. per finire, mentre Prodi, Fassino e compagnia cantante in Italia perdono l'ennesima occasione e si schierano contro la missione italiana in Irak - e implicitamente dalla parte di chi vorrebbe veder trionfare i terroristi di Al Zarqawi e i repubblichini di Saddam - altri Paesi non solo non si ritirano, ma inviano altre truppe per supportare il processo di ricostruzione e garantire la sicurezza: vedi "Australia boosts Iraq deployment".

A questo va aggiunta la situazione in Iran, dove il regime teocratico (ma, anche qui, l'unica teocrazia militante che preoccupa i nostri eroici progressisti alle vongole è quella americana) deve fronteggiare una situazione sempre più incandescente, e dove l'opposizione democratica prende ogni giorno sempre più coraggio.

Ma la guerra non è servita a niente, certo - e poi la democrazia, notoriamente, non si può esportare.

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