domenica 13 febbraio 2005

Voto sull'Irak ed elezioni italiane

Dal Riformista un ottimo editoriale che i leader, capi e capetti del centro-sinistra farebbero bene a leggere con attenzione:
Triste storia di un voto smarrito dall’Ulivo
Disunione: perché il no all’Iraq vale una obiezione di coscienza


Vorremmo raccontarvi la storia di un voto smarrito. Smarrito dall’Ulivo, intendiamo. Smarrito alle europee e smarrito oggi, alla vigilia delle regionali. E’ una storia che per motivi personali conosciamo bene, e poiché il titolare di questo voto risiede nel Lazio, la raccontiamo a vantaggio dell’incolpevole Marrazzo. Pare che nella sfida di aprile anche un solo voto conti molto, visto l’equilibrio tra i due poli. E se contano quelli della Mussolini e quelli di Pannella, magari qualcuno presterà attenzione anche al nostro piccolo voto smarrito.
E’ un voto che si smarrisce con cadenza semestrale: ogni volta che il centrosinistra dice no al finanziamento della missione italiana in Iraq, cioè dice sì al ritiro. Il titolare del voto suddetto si è chiesto se una singola posizione politica può inficiare il suo senso di appartenenza a uno schieramento; se, cioè, vale il suo voto. E, dopo lungo travaglio, si è risposto di sì. Per tre ragioni: una morale, una politica e una nazionale.

La ragione morale: in Iraq non è in gioco un sistema pensionistico o uno sconto fiscale. Sono in gioco, come ha detto Fassino, la vita e la morte. Se i soldati italiani si ritirassero, e i terroristi facessero strage di iracheni a Nassiryia, la coscienza di quel voto ne sarebbe gravemente ferita. Il nostro voto si domanda perfino se, in materie come questa, non debba valere per i parlamentari del centrosinistra la libertà di coscienza. Se vale per la fecondazione assistita, perché si tratta di vita, dovrebbe valere anche per la fecondazione della democrazia irachena, anch’essa questione di vita o di morte. Dunque, per obiezione di coscienza, il nostro voto non può aderire a una decisione che, se attuata, può portare morte.

La ragione politica: il nostro elettore ha fortemente sperato nella nascita della Fed, o aggregazione riformista. E’ ovviamente disposto ad accettarne gradazioni differite, dipendenti dalle contingenze della politica. Ciò che non può accettare è la sua inutilità, la prova provata che è una finzione. Il senso della Fed, infatti, (e anche la ragione esclusiva dell’appartenenza del nostro elettore allo schieramento di opposizione) sta nel dare cittadinanza a una posizione che non è identica a quella della sinistra radicale. Per non essere identica, essa assume forma politica, promettendo così di guidare con la sua forza elettorale e con i suoi programmi l’intera opposizione. Qui e là, farà dei cedimenti, in nome dell’unità. Ma sull’essenziale non sarà etero-diretta. Altrimenti, che esiste a fare?

Il nostro voto smarrito vede invece che sull’Iraq i membri della Federazione vorrebbero prendere una posizione sensata (la guerra è finita, la democrazia è iniziata: essere stati ieri contro la guerra equivale ad essere oggi per la democrazia); ma non possono perché gli altri non vogliono. Vuol dire che faranno sempre quello che dicono gli altri, in nome dell’unità? Ma, allora, si stava meglio prima, quando la Fed non c’era: almeno qualcuno – metti la Margherita – poteva andare per la sua strada. Così la Fed diventa la prigione di cui non solo Bertinotti, ma pure Folena (si parva licet) ha le chiavi.

Il nostro voto sa bene che in politica conta vincere. Non ha mai amato le battaglie di testimonianza. Capisce che l’opposizione accarezza un 12 a due alle regionali, o simili, e che venderebbe la mamma pur di averlo. Niente di male. Ma si chiede: l’unità dell’opposizione su posizioni sbagliate accresce o riduce le chance di vittoria? Quando l’elettorato dovesse capire che oggi è l’Iraq, domani la patrimoniale, e che in nome dell’unità comanda sempre il più disunitario, premierebbe l’unità o ne avrebbe paura? Alle europee il ritiro in nome dell’unità non fece un gran bene alla lista Prodi. I piccoli voti smarriti, forse, furono più d’uno.

La ragione nazionale: il nostro voto smarrito, di solito, si esprime a favore di chi può governare l’Italia. Ha creduto alla massima per cui una forza politica è di governo solo se si comporta all’opposizione come si comporterebbe al governo. Deve dunque dedurne che, se fosse al governo, il centrosinistra ritirerebbe oggi le truppe dall’Iraq. In piena transizione alla democrazia? Contravvenendo a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu votata all’unanimità (la 1546)? Rifiutando l’appello del governo iracheno? Mentre anche l’Europa comincia a far qualcosa nel processo di nation-building? Se avvenisse, sarebbe un duro colpo all’attendibilità internazionale dell’Italia. E il nostro piccolo voto smarrito è pure patriottico.

Tutto considerato, quel piccolo voto non ha dubbi: la questione irachena (di oggi, non di ieri) ha la valenza morale, politica e nazionale per costringerlo, se del caso, a ritirarsi dal centrosinistra.

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