lunedì 14 febbraio 2005

Realtà irachena e paraocchi italiani

Editoriale del sempre puntuale Magdi Allam sul Corriere della Sera:
È del tutto infondato il timore che la maggioranza dei seggi del nuovo Parlamento attribuita meritatamente ma anche fortunosamente alla «Lista irachena unitaria», che s'ispira al grande ayatollah sciita Ali al Sistani, possa trasformare l'Iraq in una teocrazia. Tanto è vero che nel nome stesso dell'alleanza che raggruppa ben 17 partiti non figura il termine «islam».

Ciò si deve al fatto che essa è soltanto un cartello elettorale tra forze integraliste e laiche, sciite, sunnite e cristiane, arabe, curde e turcomanne. Basta leggere la piattaforma programmatica dove, pur riconoscendo l’islam come «religione di Stato», si afferma che l’obiettivo comune è un «Iraq costituzionale, pluralista, democratico e federale». È del tutto evidente che la proposta della teocrazia manderebbe in frantumi la lista di Al Sistani. Figuriamoci se sarebbe in grado di reggere il confronto con un parlamento dove ci sarà un sostanziale equilibrio tra deputati islamici e laici.

Ed è proprio questo il risultato più significativo del primo voto libero nella storia dell’Iraq. Certamente laiche sono l’Alleanza curda di Talabani e Barzani, la «Lista degli iracheni» del premier sciita Allawi e «Il partito degli iracheni» del presidente sunnita Al Yawar, che insieme hanno conquistato circa il 45 per cento dei seggi. A cui vanno aggiunti i deputati laici presenti in seno alla Lista di Al Sistani. Tanto è vero che i rappresentanti dei principali gruppi premiati dalle urne hanno manifestato l’opportunità di dar vita a un governo di unione nazionale per assicurare il più ampio consenso possibile alla nuova Costituzione. Che da un lato consacrerà la cornice dello Stato federale e dall’altro registrerà, sul piano dell’identità nazionale, un compromesso tra gli islamici e i laici tale da escludere l’applicazione della sharia quale unica fonte della legge dello Stato.

La vera preoccupazione di Al Sistani non sarà affatto quella di imporre la sharia , bensì di salvaguardare l’eterogeneo e fragile cartello elettorale. Basti pensare che ben quattro suoi esponenti di spicco si contendono la carica di futuro primo ministro: Adel Abdul Mahdi, attuale ministro delle Finanze; Ibrahim Jaafari, vice-presidente e leader di Al Dawa; Hussein Al Shahristani, scienziato nucleare e politicamente indipendente; Ahmed Chalabi, laicissimo ed ex uomo di fiducia del Pentagono. Ebbene, con spirito sportivo, Jaafari ha annunciato: «Vinca il migliore, l’importante è che sia moderato perché solo così si può governare una nazione plurale come la nostra».

Se proprio dovessimo fare il raffronto con il temuto imam Khomeini, allora Al Sistani ricorda il primissimo leader della rivoluzione islamica iraniana. Quello che scendendo dalla scaletta dell’ Air France che lo riportò in patria nel febbraio 1979, si presentò a capo di una ampia coalizione che spaziava dai liberali ai comunisti. Fu soltanto in un secondo tempo che, un po’ alla volta, lo spietato Khomeini li fece fuori tutti, compreso il suo stesso Partito della Repubblica islamica. Perché avendo stabilito che lui incarnava il Bene, tutto il resto era il Male. Ebbene è da escludere che Al Sistani possa permettersi un’involuzione autoritaria e sanguinaria. In primo luogo perché lui stesso si è sempre espresso contro la teocrazia.

E anche se cambiasse opinione non la potrebbe imporre all’insieme di uno Stato che non sarà centralizzato bensì federale. Certamente non l’accetterebbe l’Alleanza curda che, sul lungo termine, emergerà come il vero vincitore delle elezioni. Ha ottenuto circa il 27% dei seggi del Parlamento nazionale, l’89% dei seggi del Parlamento del Kurdistan e il 59% dei seggi del Consiglio provinciale di Al Taamin, il cui capoluogo è Tikrit. Il controllo di Tikrit, la fortezza petrolifera dell’Iraq, darà ai curdi una formidabile arma per consolidare un’autonomia in vigore ormai da 13 anni. Complessivamente il voto ha confermato la straordinaria vittoria dell’insieme del popolo iracheno con il 58,3% di elettori che sono andati alle urne sfidando il terrorismo. Così come ha segnato la sconfitta del partito del boicottaggio e del partito dei catastrofisti che avevano profetizzato e auspicato uno scenario da guerra civile. Ora invece a testa bassa sia l’infido «Consiglio degli ulema» sunniti sia il forsennato Moqtada al Sadr stanno trattando sotto banco il loro coinvolgimento nella stesura della nuova Costituzione. Loro, di fronte all’evidenza dei fatti, si sono arresi. Da noi invece sono ancora in troppi coloro che si ostinano a interpretare la realtà irachena con i propri paraocchi ideologici.

Nota per i pacifinti e i "progressisti" (regressisti?) italiani distratti: l'autonomia curda a cui fa riferimento Allam non è una gentile concessione del "legittimo capo di Stato" iracheno, Saddam Hussein, ma il risultato della istituzione da parte degli americani e dei loro alleati, già dal 1991, di una "zona di interdizione" che ha impedito a Saddam e ai suoi macellai di perpetrare ulteriori atrocità contro i curdi, e ha consentito agli abitanti del Kurdistan iracheno di avviare, molto prima che nel resto del Paese, il processo di transizione verso la democrazia.

Naturalmente, ogni volta che gli anglo-americani sono intervenuti a difesa delle popolazioni curde abbattendo elicotteri o cacciabombardieri dell'aviazione di Saddam o attaccando le installazioni dell'esercito iracheno che potevano minacciare le forze impegnate nella difesa della "no-fly zone", i "pacifisti" italiani hanno strillato come aquile contro "l'aggressione amerikana" e contro "l'indebita interferenza" di una potenza straniera (i soliti imperialisti, ovvio...) negli "affari interni" del regime nazistoide di Saddam: avete notizia, in tutti questi anni, di analoghe manifestazioni di protesta contro l'aggressione e il tentativo di sterminio dei curdi da parte di Saddam? A me non risultano, come, parlando d'altro (ma in realtà è sempre la stessa cosa), non mi risulta che in questi mesi qualcuno a sinistra abbia organizzato manifestazioni di protesta contro la corsa al nucleare militare da parte del regime (quello sì) teocratico iraniano, o che in questi giorni i pacifisti si siano moblilitati in risposta alla dichiarazione ufficiale, da parte di un ministro del Governo della Corea del Nord, di possedere armi nucleari.

Eppure, più volte gli ayatollah iraniani hanno dichiarato esplicitamente che intendono usare le armi nucleari per "risolvere", una volta per tutte, il "problema" rappresentato dall'esistenza di Israele e degli ebrei in generale; eppure, già due anni fa il regime nord-coreano minacciò esplicitamente il Governo giapponese, dichiarando che aveva la capacità di trasformare Tokyo in un "oceano di fuoco nucleare": possibile che in questi casi nessun pacifista senta il bisogno di "parlare di pace"?

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