martedì 28 giugno 2005

Parole miserabili

Ecco i fatti, come riportati dal Corriere:

Milano dice sì alla targa per Craxi

MILANO
- Fa già discutere la decisione della giunta di Milano che ha deliberato la posa di una targa commemorativa in memoria di Bettino Craxi, scomparso cinque anni fa ad Hammamet, in Tunisia. La targa verrà installata davanti agli uffici dell'ex leader socialista in piazza del Duomo al numero civico 19. Mistero su che cosa ci verrà scritto sopra. «Se ne occuperanno gli uffici della toponomastica», ha spiegato il vicesindaco, Riccardo De Corato di An. «Abbiamo deciso così di ricordare la storia di questo personaggio della politica italiana. Un personaggio controverso per alcuni settori politici», ha osservato il sindaco Albertini. La delibera, che è stata approvata con scrutinio segreto, fu presentata già alcuni anni fa d'accordo con la figlia di Craxi, Stefania, ma allora fu respinta a maggioranza.

POLEMICA - Soddisfazione tra i figli di Bettino, che a Milano era nato il 24 febbraio 1934. «Non posso che ringraziare il sindaco della città e gli esponenti della giunta - spiega Bobo Craxi - e di quei partiti che hanno avuto quest'idea, che hanno voluto sostenere un fatto storico che riconcilia Bettino Craxi con i milanesi, e non solo», Ironico il commento di Antonio Di Pietro, ex pm ed attuale leader dell'Italia dei Valori: «Ben venga una targa commemorativa per Bettino Craxi a piazza Duomo, a condizione però che nella targa siano indicati i titoli di quando era in vita: politico e latitante».

Parole miserabili, pronunciate da un politico di basso cabotaggio che, sulla sua targa - posto che a qualcuno venga in mente di dedicarne una anche a lui - al massimo potrà vedere scritto "felice possessore di un'automobile Mercedes".

Parole meschine, degne di menti meschine; degne di persone con cui non vorrei condividere neanche una scialuppa di salvataggio durante un naufragio.

D'altra parte, si sa, la classe è come il coraggio - e, detto questo, ho detto tutto.

mercoledì 22 giugno 2005

La Somalia vista da vicino

Barbara di Shock and Awe sta scrivendo una serie di post intitolata "Somalia, considerazioni postume".

Leggeteli, sono quanto mai interessanti e ben scritti.

Li trovate qui: uno, due, tre, quattro.

Israele, uno strano incidente

Uno scontro fra un treno e un camion apparentemente abbandonato sui binari ha provocato almeno otto morti e duecento feriti nella zona di Beer Sheba, la stessa località dove ieri gli israeliani hanno sventato un attentato suicida.

La meccanica di quello che per ora viene ufficialmente definito "un incidente" e il fatto che si sia verificato a ridosso del summit fra Sharon e Abu Mazen mi fa pensare che potrebbe trattarsi di un attentato, portato a termine con modalità diverse da quelle ormai consuete. Staremo a vedere.

martedì 21 giugno 2005

Oscurantismo clericalmente assistito

Mentre gli astensionisti attivi, i clerical-papisti e gli atei devoti hanno ancora il petto gonfio d'orgoglio per il risultato dei recenti (im)brogli della recente consultazione referendaria sulla fecondazione medicalmente assistita, quella materialista impenitente (e magari anche un po' liberale, liberista e culattona: hai visto mai?) della realtà irrompe sulla scena e regala a tutti noi, in un giorno solo, tre-notizie-tre:

1) Nel 2015 una coppia europea su 3 sarà sterile
Lo rivela uno studio britannico. Attualmente in Europa solo una coppia su 7 è in grado di avere figli senza la procreazione assistita

2)
Tremila brevetti, scienza e industria puntano sulle cellule staminali
Nonostante le questioni etiche, gli Usa restano protagonisti della ricerca con Gran Bretagna, Giappone, Cina, Corea del Sud

3)
L’appello rilanciato dal congresso di Copenaghen: «Qui ridono di noi»
Fecondazione, 110 medici disobbedienti

Eh sì, cari miei: la realtà, Ruini o non Ruini, non si astiene - e prima o poi tornerà a fare irruzione anche qui nella nostra povera Italia.

lunedì 20 giugno 2005

Torture politicamente corrette

Alcune torture, come quelle inflitte dagli americani ad alcuni presunti terroristi detenuti ad Abu Grahib, sono di destra, imperialiste, "anti-islamiche", politicamente scorrette e quindi indifendibili; altre, a quanto pare, sono da considerarsi democratiche, progressiste, di sinistra, lecite e politicamente difendibili.

Questo è quanto emerge dal differente trattamento riservato alle notizie provenienti da Abu Grahib ("skandalo! i kattivi amerikani si dimostrano più kattiverrimi che mai! kompagni, alla lotta! viva la resistenza irakena! viva la pace! morte agli amerikani, ai sionisti - non c'entrano niente, ma a citarli uno fa sempre la sua porca figura- e ai loro lacchè guerrafondai!") e a quelle provenienti da Falluja o, adesso, dalla cittadina di Karabila ("e allora? solo alcuni eccessi isolati da parte di eroici partigiani anti-imperialisti impegnati nella resistenza all'invasore occidentale - eccessi peraltro provocati e giustificati proprio dall'odiosa invasione dei guerrafondai bevitori di Coca-Cola...").

Illuminante articolo di Antonio Ferrari per il Corriere della Sera:(il grassetto è una mia aggiunta):

In Iraq / Un silenzio doppiamente colpevole
La tortura che non fa notizia
Trovata a Karabila una «clinica della morte», centro di tortura della guerriglia sunnita. Ce n'erano una ventina anche a Falluja

Impegnati in una battaglia casa per casa, per distruggere le basi degli insorti nei villaggi iracheni non lontani dal poroso confine con la Siria, i marines hanno scoperto, in un edificio di Karabila, una «clinica della morte», attrezzato centro di tortura della guerriglia sunnita. Ne avevano trovati una ventina anche a Falluja, nel cuore del famoso triangolo. Ma quelli erano «freddi», abbandonati e ripuliti frettolosamente dai ribelli. Quest’ultimo laboratorio di violenza e sevizie per intimidire la popolazione era invece ancora «caldo», perché non c’era stato il tempo di nascondere gli strumenti della sofferenza, e di far sparire (o eliminare) le vittime delle torture.

Oltre a cavi elettrici, manette, cappi per simulare o eseguire impiccagioni, i soldati americani hanno trovato infatti quattro prigionieri ancora in vita: preziosi testimoni che, forse per la prima volta, stanno rivelando gli inconfessabili segreti della resistenza più violenta, senza tacere particolari agghiaccianti. Sono ragazzi colpevoli di aver accettato l’«infamia» di un posto di lavoro nella nuova polizia irachena, magari per poter sfamare la famiglia, e quindi ritenuti complici del nemico; che avevano semplicemente rifiutato di trasformarsi in kamikaze; oppure che non accettavano di praticare l’odioso ricatto del sequestro di persona, come imponevano le istruzioni di un volumetto (edizione 2005) ritrovato nel carcere camuffato da deposito, con i vetri delle finestre anneriti: «Come scegliere i migliori ostaggi».

A parte un accurato reportage del New York Times, la scoperta della camera di tortura, nel villaggio di Karabila, si è diluita nella generale indifferenza. Come se fosse scarsamente rilevante, anche da parte di coloro che erano e sono rimasti contrari alla guerra all’Iraq, il ricorso a pratiche odiose e inaccettabili da parte di iracheni contro i loro fratelli. Il mondo era inorridito quando si alzò il sipario sulle torture e sugli abusi che alcuni soldati americani avevano inflitto agli iracheni, arrestati dopo la guerra e rinchiusi nella prigione di Abu Ghraib, che fu teatro delle orrende pratiche e delle brutali vendette che Saddam Hussein riservava ai suoi nemici. Proprio quel carcere iracheno, nel quale venivano massacrati gli oppositori del regime, scelto come simbolo di una dittatura insopportabile e da abbattere, era insomma diventato teatro di un altro crimine: con i nuovi detenuti umiliati nel corpo, nella dignità e nell’onore, e trasformati in volgare documentazione pornografica.

La coscienza del mondo era insorta, chiedendo giustamente un’esemplare punizione per i militari americani responsabili dello scempio. Oggi, per contro, il silenzio che accompagna la scoperta di altre torture e di altre vittime è grave e assordante. Può significare soltanto comprensione e tolleranza (con la scusa che si tratta di «episodi collaterali di una guerra sbagliata») per pratiche che ogni coscienza civile non può accettare, né giustificare. Mai. Non respingerle sdegnosamente è un atteggiamento razzista al contrario, quindi altrettanto colpevole.

Certo, qualcuno dirà che non possono essere simmetriche le responsabilità per gli abusi compiuti dai soldati della più grande democrazia del mondo, e quelle per le torture inflitte ai loro fratelli da iracheni che non sanno neppure che cosa siano la democrazia e i diritti umani, essendo cresciuti sotto uno dei regimi dittatoriali più feroci. Ma la verità è un’altra. Gli Usa hanno scoperto e denunciato le colpe di Abu Ghraib, e i loro soldati verranno puniti. Il silenzio sulla scoperta dei marines rasenta l’omertà ed è doppiamente colpevole: nei confronti dell’Iraq e di quei Paesi arabi, anche moderati, che continuano a tollerare il ricorso alla tortura, ritenendola necessaria pratica coercitiva, e magari giustificandola con la lotta al terrorismo internazionale. Eppure tutti sanno che non esistono torture veniali e torture mostruose, ma soltanto torture. Come non esistono dittatori buoni e dittatori cattivi, ma soltanto dittatori.

E allora, cari pacifinti, inflessibili difensori dei diritti umani "senza se e senza ma"?

Come mai questo silenzio?

La tortura, forse, è condannabile solo quando a praticarla sono i nemici ideologici di sempre, mentre è comprensibile e giustificabile quando a praticarla sono i propri beniamini?

I diritti umani vanno sì difesi ma "a intermittenza", solo quando fa comodo o porta acqua al proprio mulino?

Quello che fanno i "resistenti" iracheni o gli sgherri dei regimi "amici" come quello cubano, quello della Corea del Nord, e quello cinese, iraniano, siriano e via elencando non fa notizia, anzi non deve fare notizia?

Sarebbe questa la vostra superiorità morale e antropologica?

venerdì 17 giugno 2005

Gli aiuti danneggiano il Terzo Mondo

Gli aiuti ai regimi antidemocratici del Terzo e Quarto mondo, piagati da estesi fenomeni di corruzione, violenza, mancato controllo dell'effettiva destinazione dei fondi e dei beni inviati, fanno principalmente danni rimandando nel tempo la caduta delle dittature, (con)causa della povertà e del sottosviluppo (ma chi l'avrebbe detto - vero cari nogglobal?).

Queste le conclusioni di uno studio pubblicato in questi giorni, proprio alla vigilia di un'altra stagione di concerti e manifestazioni in stile buonista (il grassetto è mio):

Forse, George Bush ha ragione a fare il tirchio con gli africani. E Bob Geldof e Bono torto marcio. Uno studio appena pubblicato mostra che, dal 1970, il volume di aiuti ricevuti dai Paesi in via di sviluppo è stato inversamente proporzionale alla crescita di questi ultimi. Meglio: che gli aiuti hanno frenato lo sviluppo, sono stati controproducenti. L’economista svedese Fredrik Erixon, autore dello studio, ne è convintissimo.

Secondo Erixon, la ragione per la quale, dopo decenni di dichiarazioni di buona volontà e 400 miliardi di dollari di sostegno occidentale, l’Africa resta in condizioni economiche e sociali pessime è che gli aiuti non funzionano quando si è fortunati, fanno del male nella maggior parte dei casi.

A poche settimane dal G8 di luglio in Scozia, che avrà al centro delle discussioni la lotta alla povertà, e a pochi giorni dalle marce e dalla serie concerti di beneficenza, previsti in tutto il mondo, che lo accompagneranno, questo è l’attacco finora più forte alla Rock Star Economics , quel complesso di teorie rese popolari da musicisti e attori che sostengono la necessità di raddoppiare subito gli aiuti ai Paesi più poveri. «Gli economisti-rock star vedono il mondo attraverso occhiali rosa - sostiene Julian Morris, direttore dell'International Policy Network (Ipn), l’istituto britannico che ha pubblicato l’analisi -. La loro convinzione che gli aiuti vadano a beneficiare i poveri è mal posta. La realtà è che gli aiuti premiano il fallimento e rafforzano regimi che diversamente sarebbero stati fatti fuori».

I dati portati da Erixon mostrano che via via che gli aiuti all’Africa aumentavano dal 5% del Pil continentale (1970) al 18% (1995), la crescita del Pil pro-capite crollava dal 15-17% a negativa; per riprendere a metà Anni Novanta quando gli aiuti sono tornati a calare. Lo studio sostiene che se i governi occidentali facessero come richiesto da Jeffrey Sachs, l’economista che ha studiato la strategia Onu per eradicare la povertà, e come proposto dal primo ministro britannico Tony Blair, cioè se aumentassero gli aiuti all'Africa di 25 miliardi di dollari l’anno, «le conseguenze potrebbero essere devastanti. Troppo spesso gli aiuti hanno fatto più male che bene, specialmente in Africa. Hanno ingigantito le élite politiche e tolto potere all’uomo comune».

Erixon confuta alla radice la teoria indiscussa da decenni secondo la quale gli aiuti esteri avrebbero la forza di dare la spinta iniziale a un’economia e rompere così il «circolo vizioso della povertà». In realtà, dice l’economista, «i Paesi non sono poveri perché mancano di strade, scuole o ospedali. Mancano di queste cose perché sono poveri. E sono poveri perché non hanno le istituzioni di una società libera, le quali creano le condizioni di base per lo sviluppo economico». In altri termini, a condannare alla povertà è l’assenza di diritti di proprietà, di leggi e norme, di mercati aperti, di governi onesti e non invadenti, di commercio estero. Gli aiuti, al contrario, hanno due tipi di effetti negativi: spostano l'attenzione dal problema vero, cioè dalla creazione di istituzioni che funzionano; e soprattutto spingono ai margini gli investimenti privati, danno risorse a regimi dispotici per continuare a opprimere, minano la democrazia, perpetuano la povertà.

Qualche esempio nella storia moderna dell’Africa? Tra gli altri, i casi dello Zimbabwe, dell’Uganda, del Congo. Lo studio dell’Ipn - che è stato pubblicato assieme a centri di ricerca di Sudafrica, Hong Kong, India, Ghana, Israele e Nigeria - analizza gli effetti degli aiuti sulla crescita in generale e scopre che sono sempre negativi. E come esempio da seguire porta (a parte Cina e India) il Botswana, il quale si è dato buone istituzioni economiche e ha avuto una bassa «interferenza» di aiuti esteri, con il risultato che il suo tasso di crescita negli scorsi 30 anni è stato «tra i più alti del mondo» e il reddito pro-capite è oggi di ottomila dollari l'anno, contro i meno di mille di molti Paesi africani. Non è detto, insomma, che il concerto più virtuoso sia quello rock.
(Danilo Taino - Corriere della Sera)

giovedì 16 giugno 2005

Europolis

Segnalo un nuovo blog, Europolis.

Questo il suo "manifesto":

Trattato di Maastricht, accordi di Lisbona, Costituzione Europea, fondi strutturali…
Molti hanno sentito parlare di termini del genere, anche nei discorsi comuni.
Ma quanti sanno veramente cosa significano?
Starebbe ai politici ed ai giornalisti informare gli italiani e gli altri cittadini europei di tali, importanti argomenti, per il nostro presente e soprattutto per il nostro futuro; però entrambi si dimenticano di farlo, o lo fanno poco e male.
Io sono una persona come tante, che cerca di informarsi leggendo giornali, riviste, libri, tenta di capire cosa sia l’Europa ed esprime le proprie opinioni.
Qui cercherò di scrivere alcune mie idee e di dare qualche informazione che potrebbe interessare coloro che mi vorranno leggere. In particolare, scriverò di quelle cose che penso siano rilevanti e che i media tradizionali non hanno trattato, o hanno trattato poco.

Sembra interessante, dite? Dategli un'occhiata, allora.

mercoledì 15 giugno 2005

Astensionista e aspirante vacanziere?

Sei un astensionista?

Le dure fatiche dell'astensione ti hanno stremato, non vedi l'ora di riposare e recuperare le forze per la prossima battaglia in difesa dello strapotere temporale della chiesa cattolica della vita?

Bene, ho trovato la località di vacanza adatta.

lunedì 13 giugno 2005

Peggio di Indymedia

Era da tanto che non leggevo un post così vomitevole, un simile concentrato di spazzatura - una anticipazione, immagino, dello stile di governo sobrio e moderato (niente a che vedere con quegli sguaiati referendari radical-chic, per carità) del futuro, vincente, polo teocone italiano (a proposito, con che fa rima teocone?).

Per vostra comodità lo riporto qui di seguito, giusto perchè possiate farvi un'idea del dolce stil novo in politica (il grassetto è una mia aggiunta, tesa a evidenziare i punti salienti).

(Nota: il post è datato Domenica 12 Giugno).

Si profila la più bassa affluenza alle urne di tutti i tempi.

Noi astensionisti siamo pronti con lo spumante per festeggiare una vittoria STORICA che verrà ricordata per molti lustri a venire.

Soprattutto da oggi in avanti i NO ai referendum si manifestereranno sempre con la ASTENSIONE alla faccia dei falsi moralisti (molto opportunisti) alla Fini e Prodi.

Un terremoto politico di dimensioni straordinarie.

Se il quorum alla chiusura delle urne domani alle ore 15,00 dovesse fermarsi sotto il 30%, come pare prevedibile, già nella serata di domani vedremo molte teste rotolare.

Già si sente nell'aria l'odore acre del sangue in quel di A.N.

Fini entro la mezzanotte di domani, ci scommetto, verrà dimissionato dal partito.

Capezzone si suciderà in diretta televisiva con un colpo di fucile in bocca.

Pannella staccherà la spina (o spinello ?) che lo tiene in vita da 10 anni a questa parte.

Rutelli farà pagare un conto salatissimo alla sinistra, partendo dalla "epurazione" di Prodi.

La Prestigiacomo tornerà alla sua abituale attività orale/oratoria con l'ex ministro Fini (il quale si ritirerà a vita privata a casa delle Presty abbandonato anche dalla moglie Daniela). Presty continuerà ad offendere in televisione i dawn. Berlusconi le revocherà la carica di ministra delle pari oppurtunità, riconoscendola come una razzista di prim'ordine. Meglio che torni sotto il tavolo delle maggioranza da dove l'avevano tirata fuori prima che facesse tanto danno. Sotto i tavoli da il meglio di sè.

Fassino perderà qualche chiletto nelle prossime ore.

La Bonino ad urne aperte questa sera ha già dichiarato di volere la testa di Capezzone, piccolo antipasto di quello che succederà domani in quel partito pieno di debiti che non si papperà più i soldi del referendum (motivo primo della campagna radicale!).

AL FOGLIO Giuliano Ferrara festeggerà per una settimana intera. Migliaia e migliaia di "ASTENSIONISTI ATTIVI" andranno in pellegrinaggio da Giuliano Ferrara per rallegrarsi della vittoria del secolo contro i clerico-nichilisti e relativisti del pensiero debole. Ma che dico debole ... debolissimo.

L'embrione umano sussulterà dalla gioia e appena gli spunteranno gli arti superiori, con il braccino destro sovrapposto al braccino sinistro farà il gesto dell'ombrello ai referendari che lo definivano ricciolo di materia.

E Sorvy sarà il sorvegliato più contento del mondo, se domani le cose andranno come devono andare.

Ma certo, Sorvy, puoi essere proprio contento: contento come un cretino.

Piccola nota di chiusura: questo ex-embrione umano (non ricciolo di materia, badate bene) aderisce a Tocque-Ville, "la città dei liberi" (e dei "liberali"): motivo più che sufficiente per ritirare la mia adesione all'iniziativa.

domenica 12 giugno 2005

I tanti "più uno" che fanno la differenza

Editoriale de Il Riformista di sabato:

La legge dice che il referendum di domenica e lunedì sarà ritenuto valido se si recherà alle urne il 50% più uno degli aventi diritto. Quel «più uno» fa la differenza.

Intendiamoci: riteniamo, come tutti, che sarà molto difficile superare la fatidica e anacronistica soglia del quorum. In Italia è troppo facile convocare i referendum (bastano 500mila firme e una buona organizzazione professionale per raccoglierle) ed è troppo difficile renderli validi con un quorum così alto.

Tutto sommato, neanche alle elezioni politiche vota il 100% degli aventi diritti, la percentuale di astensionisti abituali, da indifferenza o da protesta, si colloca tra il venti e il trenta per cento. Sarebbe molto più logico calibrare la metà degli elettori, dunque, al numero di italiani che di solito, o magari nelle ultime elezioni politiche, esprimono davvero il loro diritto.

Pensateci: se il quorum fosse al 40% (la metà di quell’ottanta per cento o giù di lì che elegge il parlamento della Repubblica), il giochetto dell’appello all’astensione non avrebbe potuto andare sul velluto. I fautori del no avrebbero dovuto combattere in campo aperto per il no, per non rischiare, perché il 40% era più che raggiungibile, e forse sarà pure raggiunto.

Sarebbe stato più «fair»; e, soprattutto, sarà più «fair» in futuro per qualsiasi altro referendum, nel quale magari gli astensionisti di oggi fossero dall’altra parte della barricata.

In ogni caso, quel «più uno» può essere ognuno di noi: nell’incertezza, meglio recarsi alle urne. E se non lo si vuol fare per la legge 40, lo si faccia almeno per salvare questo istituto di democrazia diretta, il referendum, tanto vituperato eppure ancora oggi l’unico rimedio conosciuto a un grave vulnus tra una maggioranza parlamentare e la maggioranza del paese. Se gettiamo nel lavandino il referendum, consegniamo uno status di onnipotenza legislativa al parlamento che né la Costituzione né la logica gli riconoscono.

E poi, quel «più uno» può essere letto in tanti altri modi. C’è un «più uno» che può lanciare un segnale al parlamento, impegnarlo a cambiare la legge in futuro, anche se il quorum lunedì non ci fosse. Un 40% più uno sarebbe abbastanza forte da produrre questo effetto. C’è un «più uno» da assegnare nella gara tutta interna al centrosinistra: se le forze referendarie avranno un voto in più di quelli che normalmente sommano alle politiche, potranno dire che la loro battaglia è andata oltre il campo che rappresentano, e potranno parlare in un’eventuale futura maggioranza parlamentare di domani a nome di una fetta più vasta di società.

E c’è un altro «più uno» che conta. Se si accetta infatti che l’astensione fisiologica è tra il 20 e il 30, diciamo al 25, il fronte astensionista dovrà dimostrare di aver convinto al non voto una maggioranza degli elettori veri per dire di aver battuto il fronte del voto. Cento meno 25 fa 75. La metà di 75 è 37,5. Ogni percentuale di affluenza superiore al 37,5% potrebbe dunque essere presentata come l’espressione della maggioranza degli elettori, almeno di quelli veri.

Infine c’è un più uno che tutti danno per scontato ma che non è privo di significato: tra i voti validamente espressi si dice che vincerà con sicurezza il sì. Ma più schiacciante sarà quella vittoria, più forte sarà il segnale che ne verrà al parlamento che l’Italia non è soddisfatta della legge 40 e la vorrebbe cambiata. In caso di fallimento del quorum, infatti, il messaggio del corpo elettorale non sarà la decisione di tenersi la legge, ma un agnostico rinvio del problema ai rappresentanti del popolo.

Paradossalmente, la vittoria dell’astensione lascerebbe aperto il problema della fecondazione assistita più di quanto farebbe una vittoria del sì (che almeno indicherebbe con chiarezza, limitandoli, quali sono i punti da abrogare) e certamente più di una vittoria del no (che confermerebbe senza possibilità di ripensamenti la legge che già c’è).

Dunque il «più uno» conta. Conterà politicamente, e ci saranno molti «più uno» da contare lunedì sera. Vale dunque, in ogni caso, la pena di fare un salto al seggio.

sabato 11 giugno 2005

Niente Far West se vincono i SI

Il sempre puntuale Daw segnala un articolo di Stefano Ceccanti apparso di recente sul Riformista:
"i quesiti parziali non producono alcun Far West. Infatti vi sono almeno 16 divieti che rimarrebbero in piedi anche col successo pieno dei sì. [..]

Resterebbe in piedi il cuore dell'art. 5, la base fondamentale di tutti i limiti, che consente l'accesso a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambe viventi. In un colpo solo sono vietati:

1) l'accesso ai single,
2) ai minorenni,
3) alle coppie omosessuali,
4) le mamme-nonne,
5) la fecondazione post portem.

Nell'art. 9 sbucano i divieti 6 e 7 che fungono da ulteriori paracadute (sia pure minimi) quando si ammetta l'eterologa (fatta all'estero):

6) divieto di disconoscimento di paternità, e
7) divieto per il donatore di acquisire relazioni giuridiche col nato.

Giungiamo all'art. 12:

8) proibisce la commercializzazione di gameti o embrioni,
9) proibisce l'utero in affitto,
10) proibisce la clonazione umana". [..]

Nell'art. 13 troviamo:

11) la ricerca deve perseguire finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche,
12) è vietata ogni forma di selezione a scopo eugenetico e qualsiasi altro intervento teso ad alterare il patrimonio genetico,
13) vietati interventi di scissione precoce dell'embrione o di ectogenesi,
14) vietata la fecondazione di un gamete umano con uno di specie diversa,
15) vietata la produzione di embrioni a scopo di ricerca.

Infine, anche se saltasse il tetto dei 3 embrioni il "medico è comunque tenuto a non creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario".

A quanto siamo con questo? Ah sì, a 16 divieti, mica male per un Far West.

venerdì 10 giugno 2005

Submission? Film esagerato e razzista, certo

Queste le critiche rivolte da molti islamici - nonché dai soliti multiculturalisti della sinistra alle vongole - al film-denuncia costato la vita al regista Theo Van Gogh, ucciso da un militante estremista islamico.

Secondo i detrattori del film (e del regista), Submission deforma la realtà del mondo islamico, dipingendo un quadro molto più fosco di quello reale.

Sarà: ma allora, se davvero nell'ambito dell'Islam le donne stanno molto meglio di come le dipinge l'opera di Van Gogh, spiegatemi il senso di questa notizia apparsa oggi sul Corriere:

Torino: getta la moglie dal balcone, arrestato marocchino

TORINO - Un cittadino marocchino ha accoltellato e buttato giu' dal balcone della propria abitazione di Torino la moglie italiana, perche' colpevole di voler lavorare e vivere "all'occidentale".

La donna originaria di Catania, che presentava ferite e fratture su tutto il corpo, e' stata portata in ospedale. L'uomo invece e' stato arrestato.


A Torino. Non in Afghanistan o in Iran. A Torino.

Decisamente c'è qualcosa che non quadra, no?

Comunque, per chi volesse farsi un'opinione di prima mano sull'opera di Van Gogh, questa sera alle 21:00 "Submission" verrà proiettato a Mestre (Venezia) presso la Sala Laurentianum in Piazza Ferretto.

giovedì 9 giugno 2005

Clementina Cantoni libera

Dopo 24 giorni di prigionia Clementina Cantoni è stata liberata, e attualmente si trova nel consolato italiano di Kabul.

Un grazie al Governo italiano, che ha saputo gestire in maniera puntuale la vicenda facendo tutte le necessarie pressioni sulle autorità afghane;
un grazie alle autorità afghane, che si sono impegnate al meglio delle loro possibilità per il rilascio della nostra connazionale;
un grazie agli operatori di CARE International, che hanno saputo mobilitarsi sia in Afghanistan che sul piano internazionale;
un grazie, soprattutto, alle vedove, alle donne e in generale ai cittadini afghani che in queste settimane hanno pubblicamente e quotidianamente manifestato il loro affetto e il loro sostegno a Clementina;
per finire, un cordiale vaffanculo ai "pacifisti" (pacifinti) italiani per essersi sostanzialmente disinteressati della vicenda - ma, si sa, questa volta non c'era la possibilità di sfruttare politicamente il rapimento per criticare, come al solito, il Kattivo BerlusKoni o i Kattivi amerikani, e quindi niente mobilitazioni, niente fiaccolate buoniste cantando tutti insieme "imeginoldepipol", niente bandiere arcobaleno nelle piazze, niente di niente (a parte, onore al merito, un paio di centinaia di persone alla manifestazione promossa a Roma da Uòlter): complimentoni, fate davvero schifo.

Ci sono leader e leader

Anche oggi il Riformista pubblica un editoriale in cui mi riconosco al 100%.

Nota: l'URL qua sopra è corretto e funzionante, mentre dalla homepage del quotidiano si viene reindirizzati a un URL tarocco: a quanto pare la homepage è stata taroccata da un hacker, probabilmente un astensionista - tutti gli altri sporchi trucchi li hanno già messi in pratica: mancava per l'appunto solo questo...

mercoledì 8 giugno 2005

Fini sempre piu' su

E Berlusconi, di converso, sempre più giù: mentre Fini si schiera per il SI a tre dei quattro referendum e critica l'astensionismo, dov'è finito il "liberale tatcheriano", dov'è finito il Berlusconi del partito unico del centro-destra "moderno, liberale, europeo"?

Triste dirlo, ma pare che anche questa volta, come per il referendum sul maggioritario, sia finito arenato sulla battigia, a giocare con la paletta e il secchiello o, peggio, ad aiutare chi, in AN, tenta di fare le scarpe al "troppo liberale" - e troppo poco clericale - Fini.

Che tristezza.

Questo Ferrara non ci piace

Il Riformista pubblica un editoriale, che condivido praticamente parola per parola, su Giuliano Ferrara (massì, proprio lui: la moglie di Anselma Dall'Olio), direttore del Soglio (pardon: Foglio):
ASTENSIONISMI.
La scuola della moglie
di Giuliano Ferrara


Leggiamo da "Io donna" di sabato scorso, a firma di Marina Terragni: «Giuliano Ferrara, andrà a votare?» «Sì, ho anche firmato per i referendum... Per me è una guerra culturale sui principi della vita». Leggiamo dal "Messaggero" di ieri, appena due giorni dopo, a firma di Mario Ajello, la dichiarazione di Anselma Dall’Olio, moglie di Ferrara: «Io, come Giuliano, sono per l’astensione. Questa è una vera posizione femminista».

Chissà, magari sarà un semplice misunderstanding, e non ricade dunque in quella «Scuola delle mogli», «questa école de femmes da commedia leggera» che lo stesso Ferrara fustigava ieri in un editoriale del "Foglio", prendendosela con i politici «che invitano a votare come le mogli, questi femministi dei nostri stivali».

Ma, del resto, la campagna di Ferrara contro il referendum è tutto un misunderstanding. La coerenza delle posizioni, come è noto, non si può pretendere da quel pulpito. Quindi non staremo qui a dire che non si accettano lezioni di etica da chi prima firma impavido i referendum e poi trascolora in una pavida astensione. No, il misunderstanding più grave non è personale, è politico. Ed è tanto più sgradevole perché Ferrara non ci è, ma ci fa.

Ieri, col solo risultato di farsi nuovamente insultare, stavolta con l’epiteto di luogocomunista, il buon Luca Sofri, ex compagno di tv, glielo scriveva in una lettera a Ferrara: «Non ho mai letto - mi è sfuggito? - in un suo editoriale un accenno alla questione del numero degli embrioni o della regolamentazione della fecondazione eterologa, che è ciò di cui si doveva discutere. Si trattava di fare una cosa buona, e voialtri prepotenti avete parlato d’altro».

Ecco, parlar d’altro, sport nazionale dell’Italia colta, che a una serie discussione preferisce sempre una prolissa affabulazione. Siccome Ferrara, arci-italiano, è maestro nel secondo genere, mesi e mesi passati a parlare di riccioli, di qualcuno e di qualcosa, di soggetto e oggetto. Così la ex guerra culturale per un no argomentato è diventata ciò che è diventata, una canzonetta italiana, con Ferrara nei panni di Mogol, tu chiamale se vuoi emozioni.

E avendo buona parte del fronte referendario accettato di cantare alla musica di quella sirena, poco ci stupirà se quei pochi italiani, appena un dieci per cento, che contano per fare il quorum, domenica preferiranno andarsene al mare, non avendoci capito niente. Era cominciata come una «guerra culturale» ed è finita con un «facimmo ammuina» di borbonica qualità.

Europa, o cara

Cara soprattutto ai nostri eurodeputati: basta guardare questa tabella, che riporta gli stipendi dei nostri (?) rappresentanti (fonte: Corriere della Sera/Times):

L'aggancio delle retribuzioni a quelle dei parlamentari dei rispettivi Paesi di provenienza fa sì che acuni eurodeputati ricevano attualmente dodici mensilità, alcuni tredici e altri quattordici. Per uniformare i salari, si è scelto di riportare i guadagni annuali secondo i dati pubblicati da Times. Ne risulta che un eurodeputato italiano percepisce in un mese (12.007,03 euro) quasi quanto un lèttone prende in un anno.

Italia 144.084,36 euro
Austria 106.583,40
Olanda 86.125,56
Germania 84.108
Irlanda 82.065,96
Gran Bretagna 81.600 euro
Belgio 72.017,52
Danimarca 69.264
Grecia 68.575
Lussemburgo 66.432,60
Francia 62.779,44 euro
Finlandia 59.640
Svezia 57.000
Slovenia 50.400
Cipro 48.960
Portogallo 41.387,64
Spagna 35.051,90
Slovacchia 25.920 euro
Rep. Ceca 24.180
Estonia 23.064
Malta 15.768
Lituania 14.196
Lettonia 12.900
Ungheria 9.132
Polonia 7.369,70 euro
Come potete vedere, quindi, esiste almeno un campo in cui siamo nettamente primi in Europa: quello degli stipendi ai nostri laboriosi (?) e produttivi (??) eurodeputati - io, comunque, a costo di passare per incontentabile, avrei preferito veder primeggiare l'Italia in altri campi.

lunedì 6 giugno 2005

Ai firmatari del documento pro-Cuba

Mi piacerebbe che i firmatari della lettera-petizione a sostegno del regime comunista cubano, fra cui alcuni italiani (potevano mancare, gli utili idioti nostrani, quando si tratta di difendere una dittatura? certo che no) leggessero questo articolo.

Che leggano, Claudio Abbado, Luciana Castellina, Gianni Minà e gli altri "progressisti" (sic) le parole di questo nazionale di volley che ha deciso di chiedere asilo politico in Italia (Lo avevo giurato anni fa di scappare: quando avevo capito che nella mia terra i diritti umani sono parole vuote, che mancano le libertà elementari fondamentali. E io ero un privilegiato: sono iscritto all'università (Educazione fisica), giro il mondo dall'età di 15 anni (quando cominciai a giocare a volley) e dal 2000 sono addirittura titolare in nazionale).

Che provino a spiegargli, poi, come hanno fatto con i giornalisti italiani, che nella sua terra "esistono orti bellissimi", e che "la rivoluzione ha consentito il raggiungimento di livelli di salute, educazione e cultura riconosciuti internazionalmente" (sì: riconosciuti in particolare, aggiungo io, dai compagni italiani del partito comunista di Diliberto).

Parlino con lui, se ne hanno il coraggio.

E si vergognino, se ne sono ancora capaci.


giovedì 2 giugno 2005

La tragedia di un uomo ridicolo

Primarie sì, primarie no, adesso primarie di nuovo sì (forse - si dice - si mormora)...

E questa mortadella semifusa dal caldo sarebbe lo statista che "ricostruirà" l'Italia?

Tanto varrebbe affidare l'incarico al Mago Otelma, o alle sorelle Lecciso...

mercoledì 1 giugno 2005

Trattato costituzionale, anche l'Olanda dice no

Non che sia una sorpresa: i sondaggi da tempo davano gli olandesi orientati a votare no.

Stasera la conferma: secondo i primi dati, il NO è al 63%, il Si al 37%.

Anche in Olanda la partecipazione al voto è stata molto alta: 62%, oltre il doppio del 30% indicato dal Parlamento come soglia minima per considerare significativo l'esito del referendum.