lunedì 20 giugno 2005

Torture politicamente corrette

Alcune torture, come quelle inflitte dagli americani ad alcuni presunti terroristi detenuti ad Abu Grahib, sono di destra, imperialiste, "anti-islamiche", politicamente scorrette e quindi indifendibili; altre, a quanto pare, sono da considerarsi democratiche, progressiste, di sinistra, lecite e politicamente difendibili.

Questo è quanto emerge dal differente trattamento riservato alle notizie provenienti da Abu Grahib ("skandalo! i kattivi amerikani si dimostrano più kattiverrimi che mai! kompagni, alla lotta! viva la resistenza irakena! viva la pace! morte agli amerikani, ai sionisti - non c'entrano niente, ma a citarli uno fa sempre la sua porca figura- e ai loro lacchè guerrafondai!") e a quelle provenienti da Falluja o, adesso, dalla cittadina di Karabila ("e allora? solo alcuni eccessi isolati da parte di eroici partigiani anti-imperialisti impegnati nella resistenza all'invasore occidentale - eccessi peraltro provocati e giustificati proprio dall'odiosa invasione dei guerrafondai bevitori di Coca-Cola...").

Illuminante articolo di Antonio Ferrari per il Corriere della Sera:(il grassetto è una mia aggiunta):

In Iraq / Un silenzio doppiamente colpevole
La tortura che non fa notizia
Trovata a Karabila una «clinica della morte», centro di tortura della guerriglia sunnita. Ce n'erano una ventina anche a Falluja

Impegnati in una battaglia casa per casa, per distruggere le basi degli insorti nei villaggi iracheni non lontani dal poroso confine con la Siria, i marines hanno scoperto, in un edificio di Karabila, una «clinica della morte», attrezzato centro di tortura della guerriglia sunnita. Ne avevano trovati una ventina anche a Falluja, nel cuore del famoso triangolo. Ma quelli erano «freddi», abbandonati e ripuliti frettolosamente dai ribelli. Quest’ultimo laboratorio di violenza e sevizie per intimidire la popolazione era invece ancora «caldo», perché non c’era stato il tempo di nascondere gli strumenti della sofferenza, e di far sparire (o eliminare) le vittime delle torture.

Oltre a cavi elettrici, manette, cappi per simulare o eseguire impiccagioni, i soldati americani hanno trovato infatti quattro prigionieri ancora in vita: preziosi testimoni che, forse per la prima volta, stanno rivelando gli inconfessabili segreti della resistenza più violenta, senza tacere particolari agghiaccianti. Sono ragazzi colpevoli di aver accettato l’«infamia» di un posto di lavoro nella nuova polizia irachena, magari per poter sfamare la famiglia, e quindi ritenuti complici del nemico; che avevano semplicemente rifiutato di trasformarsi in kamikaze; oppure che non accettavano di praticare l’odioso ricatto del sequestro di persona, come imponevano le istruzioni di un volumetto (edizione 2005) ritrovato nel carcere camuffato da deposito, con i vetri delle finestre anneriti: «Come scegliere i migliori ostaggi».

A parte un accurato reportage del New York Times, la scoperta della camera di tortura, nel villaggio di Karabila, si è diluita nella generale indifferenza. Come se fosse scarsamente rilevante, anche da parte di coloro che erano e sono rimasti contrari alla guerra all’Iraq, il ricorso a pratiche odiose e inaccettabili da parte di iracheni contro i loro fratelli. Il mondo era inorridito quando si alzò il sipario sulle torture e sugli abusi che alcuni soldati americani avevano inflitto agli iracheni, arrestati dopo la guerra e rinchiusi nella prigione di Abu Ghraib, che fu teatro delle orrende pratiche e delle brutali vendette che Saddam Hussein riservava ai suoi nemici. Proprio quel carcere iracheno, nel quale venivano massacrati gli oppositori del regime, scelto come simbolo di una dittatura insopportabile e da abbattere, era insomma diventato teatro di un altro crimine: con i nuovi detenuti umiliati nel corpo, nella dignità e nell’onore, e trasformati in volgare documentazione pornografica.

La coscienza del mondo era insorta, chiedendo giustamente un’esemplare punizione per i militari americani responsabili dello scempio. Oggi, per contro, il silenzio che accompagna la scoperta di altre torture e di altre vittime è grave e assordante. Può significare soltanto comprensione e tolleranza (con la scusa che si tratta di «episodi collaterali di una guerra sbagliata») per pratiche che ogni coscienza civile non può accettare, né giustificare. Mai. Non respingerle sdegnosamente è un atteggiamento razzista al contrario, quindi altrettanto colpevole.

Certo, qualcuno dirà che non possono essere simmetriche le responsabilità per gli abusi compiuti dai soldati della più grande democrazia del mondo, e quelle per le torture inflitte ai loro fratelli da iracheni che non sanno neppure che cosa siano la democrazia e i diritti umani, essendo cresciuti sotto uno dei regimi dittatoriali più feroci. Ma la verità è un’altra. Gli Usa hanno scoperto e denunciato le colpe di Abu Ghraib, e i loro soldati verranno puniti. Il silenzio sulla scoperta dei marines rasenta l’omertà ed è doppiamente colpevole: nei confronti dell’Iraq e di quei Paesi arabi, anche moderati, che continuano a tollerare il ricorso alla tortura, ritenendola necessaria pratica coercitiva, e magari giustificandola con la lotta al terrorismo internazionale. Eppure tutti sanno che non esistono torture veniali e torture mostruose, ma soltanto torture. Come non esistono dittatori buoni e dittatori cattivi, ma soltanto dittatori.

E allora, cari pacifinti, inflessibili difensori dei diritti umani "senza se e senza ma"?

Come mai questo silenzio?

La tortura, forse, è condannabile solo quando a praticarla sono i nemici ideologici di sempre, mentre è comprensibile e giustificabile quando a praticarla sono i propri beniamini?

I diritti umani vanno sì difesi ma "a intermittenza", solo quando fa comodo o porta acqua al proprio mulino?

Quello che fanno i "resistenti" iracheni o gli sgherri dei regimi "amici" come quello cubano, quello della Corea del Nord, e quello cinese, iraniano, siriano e via elencando non fa notizia, anzi non deve fare notizia?

Sarebbe questa la vostra superiorità morale e antropologica?

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