martedì 20 aprile 2004

Il Riformista: 'seguite Kerry, non Zapatero'


Così l'editoriale di oggi (il grassetto è mio):
Romano Prodi mostra di credere che l’annuncio del ritiro immediato di Zapatero sia una forma di pressione, un estremo tentativo, per ottenere una svolta nella gestione del dopoguerra iracheno. Per dirlo, avrà le sue informazioni, forse di prima mano. Ma a questo punto non si deve scartare l’ipotesi, anzi si deve prendere seriamente in considerazione l’ipotesi che Zapatero non sia un Prodi iberico, ma un Folena spagnolo. Che, cioè, più che la svolta gli interessi il ritiro. Niente infatti lo obbligava ad anticipare ciò che alle Cortes si era solennemente impegnato a decidere il 30 giugno, data presunta del passaggio dei poteri al governo iracheno, se non una ragione elettorale: mantenere il patto su cui ha vinto le elezioni (da noi era "meno tasse per tutti", in Spagna era "meno guerra per tutti"). Il fatto che abbia anticipato la decisione mette in seria difficoltà proprio chi stava lavorando alla cosiddetta svolta; e la freddezza con cui Brahimi, il vice di Annan, ha accolto la notizia, la dice lunga sul danno che provoca proprio alla via che l’Onu sta seguendo. Valga per tutti la dichiarazione di Kerry, che ha ieri espresso il suo rammarico per l’annuncio spagnolo, ricordando a Madrid il suo comune "interesse a costruire un Iraq che non diventi uno stato impotente e un rifugio per i terroristi". Tra Kerry e Zapatero, il centrosinistra italiano non dovrebbe avere alcun dubbio.

Chiaramente Zapatero, in costante consultazione con Blair, deve aver dedotto che l’incontro tra il premier inglese e Bush non ha dato i risultati sperati, e che non molto è destinato a cambiare doopo il 30 giugno. Chiaramente Zapatero ha letto l’uccisione di Rantisi da parte di Sharon, pochi giorni dopo il via libera di Bush sul ritiro da Gaza, come la dimostrazione che il presidente americano non è riformabile, e che non solo non è disposto a mangiare la "humble pie" in Iraq, ma vorrebbe darla in pasto a tutto il mondo arabo. Ciononostante, e pur comprendendo la diffidenza di gran parte della sinistra europea nei confronti di Bush; e pur sapendo che i francesi consigliano a tutti di non muovere un dito finchè non viene novembre, sperando di veder passare il cadavere politico del presidente repubblicano; pur vedendo tutto questo, non riusciamo a capire come il ritiro delle truppe spagnole possa far fare anche un solo passo avanti alla crisi irachena.

Ammettiamo pure che Zapatero riesca così a mettere Bush con le spalle al muro. Ma se insieme a lui mette con le spalle al muro l’America, se l’isolamento della super-potenza risveglia gli isolazionisti nella super-potenza, se la vicenda irachena si tramuta, come paiono sperare molti in Europa, in un’umiliazione dell’America, sarà l’intero Occidente ad aver perso la sua prima guerra mondiale con il radicalismo islamico. Non è che se perde Bush vincono Chirac o Zapatero. In questo senso l’Iraq non è il Vietnam, dove se perdeva l’America vinceva l’Urss.

Il ritiro delle truppe spagnole minaccia inoltre di peggiorare, non migliorare le condizioni di sicurezza sul terreno, a scapito innanzitutto degli iracheni. Fassino ha detto bene ieri: "Annunciare il ritiro dei soldati motivandolo con l’impossibilità di una svolta, come ha fatto Zapatero, segna una sconfitta per tutta la comunità internazionale e vuol dire che l’Iraq sarà nei prossimi mesi risucchiato sempre di più in una spirale di violenza dagli esiti inimmaginabili". L’unica cosa che non si capisce è perché, se così stanno le cose, non ci sarebbe altra alternativa che seguire Zapatero.

Infine l’annuncio del ritiro spagnolo, fatto proprio mentre tre europei di origini italiane sono in mano a terroristi che chiedono il ritiro delle truppe italiane in cambio della loro vita, è una pugnalata alle spalle alle trattative per liberarli. Al Sadr ha dichiarato la sospensione delle ostilità contro gli spagnoli perché si ritirano; perché mai, ora che la strategia del ricatto mostra qualche successo, si dovrebbero restituire i tre a un’Italia che non fa come Zapatero?

Notiamo anche che l’invocato intervento dell’Onu è in corso. L’inviato di Annan, Brahimi, sta lavorando alla composizione di un nuovo governo provvisorio che non sia espressione del proconsole americano Bremer, ma delle Nazioni Unite, concordato con tutte le fazioni in campo, quasi sul modello della assemblea tribale afghana che ha dato il via al nation building a Kabul. John Kerry ha intelligentemente chiesto a Bush di dichiarare fin da ora che accetterà qualunque soluzione esca dal cappello di Brahimi. Ecco che cosa dovrebbe chiedere l’Europa a Bush. Bush l’ha in parte accettato con Blair. Ma non rinuncia al comando militare, e pare che sia questo ad aver convinto Zapatero ad anticipare il ritiro. Ma c’è qualcuno nella comunità internazionale, che abbia le forze per farlo, pronto a prendere il comando di una forza militare internazionale per proteggere il governo iracheno dopo il 30 giugno? O si pensa davvero che possano farcela i poliziotti iracheni? (Certo, se Bush non avesse sciolto l’esercito di Saddam, ma solo epurato, oggi avremmo una forza indigena su cui contare).

Notiamo infine che Zapatero si ritira proprio mentre l’assemblea dei massimi religiosi sciiti in Iraq, Al Sistani compreso, prende finalmente le distanze da Al Sadr e dichiara che non si lascerà coinvolgere nello scontro armato con gli americani, riaccendendo la speranza che la comunità sciita non sia persa per sempre a una prospettiva di pacificazione del paese.

Proprio adesso, Zapatero dichiara l’Iraq un "basket case", una pratica che può essere solo gettata nel cestino, roba da metterci una pietra sopra. E lo dichiara unilateralmente, chiedendo una svolta multilaterale all’Onu, nel cui Consiglio di sicurezza siede, ma del quale non ha prodotto alcuna discussione o iniziativa.

Vien da chiedersi se, alla prima prova di governo, Zapatero si sia dimostrato un leader. E se la Spagna, di cui forse avevamo presunto più delle sue capacità, non si sia dimostrata una democrazia ancora troppo giovane, incerta e ondivaga per giocare sulla scena internazionale il ruolo cui ambisce.
Link: Il Riformista.



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