venerdì 21 maggio 2004

La disfatta riformista


Questo il titolo di un editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera (il grassetto è mio):
Devono essere stati molti ieri i parlamentari della lista Prodi che votando sulla permanenza delle truppe in Iraq hanno compreso che con quel voto essi stavano affossando quel progetto di "partito riformista", dotato di un’identità forte, capace di resistere alle sirene del massimalismo, che era negli auspici di coloro che, alcuni mesi or sono, avevano creato quella lista. Le votazioni su questioni di guerra e di pace hanno questo di speciale: mettono in gioco, come nient'altro può fare, le identità politiche.



Le decisioni che si prendono al riguardo segnano punti di svolta, fissano una volta per tutte nella mente di chi osserva "immagini" delle forze politiche che sono poi in grado di resistere nel tempo, per anni e anni. Nel 1991 il Pci di Achille Occhetto era impegnato in una laboriosa transizione dal comunismo alla democrazia. La scelta di schierarsi a muso duro, in quell'anno, contro l'intervento occidentale nella prima guerra del Golfo impresse il marchio del settarismo e del massimalismo su quello che da lì a poco sarebbe diventato il Pds. Quella scelta bruciò la possibilità di fare del nascente Pds un partito riformista nel senso occidentale del termine.



Le circostanze cambiano ma resta la coazione a ripetere. Ieri i parlamentari della Lista Prodi, votando insieme a Fausto Bertinotti per il ritiro delle truppe senza condizioni, hanno scelto di strangolare in culla il "partito riformista". Lo hanno fatto pensando alle imminenti elezioni europee. È stata una scelta "razionale", forse pagante nel breve termine, ma che, in prospettiva, può rivelarsi suicida. Adesso si sa che se anche vinceranno nel 2006 le elezioni politiche, non essendo in grado di sottrarsi al ricatto massimalista, non potranno mai governare, rimanendo uniti, le più delicate decisioni di politica estera nelle future situazioni di crisi.

Eppure, sulla carta, esistevano le condizioni per fare della votazione di ieri un successo propagandistico del "partito riformista".



Berlusconi, con l'incontro con il segretario generale dell’Onu Kofi Annan e con le rassicurazioni ottenute da Bush sull'accelerazione del processo di trasferimento dell'autorità a un nuovo governo iracheno sotto l'egida delle Nazioni Unite, non aveva fatto altro che aderire alla linea sostenuta dagli uomini della Lista Prodi per quasi un anno. Potevano compiacersi del fatto che il governo fosse infine venuto a Canossa. E invece no.

Spaventati dagli umori della piazza, hanno scelto di schiacciarsi sulla posizione più massimalista e di assecondare le emozioni pacifiste, hanno rinunciato a scommettere sulla razionalità degli elettori. E proprio mentre la "svolta" da loro tanto richiesta è sul punto di concretizzarsi.



Al momento del voto si è manifestata entro l’opposizione qualche significativa presa di distanza. L’Udeur di Mastella si è dissociata. Autorevoli parlamentari, da Marini a Bianco a Maccanico, hanno scelto il non voto. Altri hanno dichiarato di votare solo per disciplina di partito. Ma ciò non è stato comunque sufficiente per impedire l'ennesima disfatta del riformismo italiano.


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