sabato 22 maggio 2004

Fosse solo questo, il problema


Editoriale de Il Riformista di oggi:
Torna il nodo della leadership.



Che il voto sull’Iraq abbia arrecato un danno alla credibilità riformista e moderata della lista Prodi, è opinione pressoché unanime sulla stampa non di parte, che in qualche caso parla di disfatta. Ma ciò che bisogna chiedersi oggi è quanto grave sia quel danno, e se e come possa essere riparato.

A nostro avviso il danno è grave. Può anche essere, anzi è probabile, che la richiesta del ritiro metta la lista Prodi maggiormente in sintonia con i suoi elettori, quello che viene chiamato il popolo di centrosinistra. Ma è altrettanto probabile, anzi forse più probabile, che la svolta del listone appaia a un pubblico più vasto come una vittoria di Bertinotti e dell’ala più radicale dello schieramento di sinistra.



Il danno è dunque arrecato alla affidabilità del centrosinistra, esattamente dello stesso tipo di quello che convinse la maggioranza degli italiani, dopo la caduta di Prodi provocata da Bertinotti, a diffidare di un’alleanza su cui l’estrema aveva tanta decisiva influenza.



Si pone dunque di nuovo, e per la seconda volta con Bertinotti, il problema della leadership di Prodi. Stavolta s’era detto: non dobbiamo ripetere l’errore dell’Ulivo, il leader non può essere senza partito, in balia della lotta tra i partiti, dunque bisogna dargli un partito. L’embrione ne era la lista unitaria. Ma se non funziona per la seconda volta, se anche con la lista unitaria la leadership non può essere esercitata liberamente, allora sono guai. Ecco perché sospettiamo che i più soddisfatti del voto dell’altra sera siano coloro che nel centrosinistra non vogliono il partito riformista. Se intendevano sabotare la leadership di Prodi, l’accelerazione a sinistra è stata il modo migliore.

Il leader designato in questa fase non può, avendo scelto di restare a Bruxelles, esercitare di persona la leadership. E quando l’ha esercitata - nella riunione del comitato di Uniti per l’Ulivo che diede il via libera alla mozione del ritiro - l’ha dovuto fare sotto la spinta di partiti impegnati direttamente nella campagna elettorale, con il moderato Rutelli in testa. Il suo imbarazzo è evidente, ma Prodi non può prendere le distanze da una decisione che è stata presa in sua presenza, e per questo deve smentire le voci di un suo "gelo". Ma dopo le europee questa ambiguità non sarà più consentita. Bisognerà dire agli italiani se il centrosinistra ha la politica estera che è stampata nel programma, oppure se pensa - come ha scritto Curzio Maltese ieri sulla Repubblica in un momento di esaltazione - che il tentativo di Brahimi e dell’Onu è una notizia "ormai imbolsita dagli eventi" e che il governo che ne uscirà non varrà niente, "come d’altra parte accade già a Kabul con il fantoccio Karzai". Al quale governo fantoccio Karzai, evidentemente, si preferisce quello precedente, più sovrano e rappresentativo della volontà nazionale, dei Talebani.
Come sarebbe a dire, l'ambiguità non sarà più consentita "dopo le europee"?

Nel senso che prima inganneranno gli elettori sventolando la bandiera arcobaleno del pacifismo "senza se e senza ma" e poi, passata la festa e fatto (nelle loro intenzioni) il pieno dei voti pacifisti, penseranno "eventualmente" ad assumere una posizione politica meno imbecille e massimalista? E parlare chiaro agli elettori prima del voto? Chiedere il loro voto dicendo loro cosa veramente si ha intenzione di fare? Mostrargli un minimo di rispetto, applicare le regole base del confronto democratico? No, eh? Roba da ingenui liberali, immagino: inutile però blaterare, allora, come viene fatto nell'editoriale, del "danno arrecato alla affidabilità del centrosinistra": di che affidabilità vanno cianciando?



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