domenica 30 maggio 2004

Al Qaeda aggiorna la sua strategia: e i pacifinti?


Questo è quanto emerge da un articolo di Guido Olimpio sul Corriere di oggi:
Gli emiri che hanno portato l’inferno a Khobar hanno visto la morte in faccia tante volte. Erano al fianco di Osama nelle gallerie di Tora Bora, in Afghanistan, quando nell’inverno 2001 erano bombardati dagli americani. Poi tornati nel Golfo hanno catturato cuore e mente di molti giovani, plasmandoli come mujahidin. Ricostruzioni difficili da verificare, ma che sono però prese per buone da chi semina terrore. Seguendo i passi di Bin Laden, i leader estremisti hanno mescolato riferimenti antichi e tattiche moderne. È nata così l’organizzazione "Al Muwahhidun", ossia "coloro che professano con rigore l’unicità di Allah". Ma anche il nome della dinastia che dominò il Nord Africa e la Spagna nella seconda metà del XII secolo. Tra i capi che guidano i radicali islamici c’è Abdel Aziz Al Moqrin, il cui nome à il primo nella lista dei supericercati dalle autorità saudite. Trent’anni, sposato, una figlia di 8 anni, ha rotto con la sua famiglia preferendo abbracciarne quella che predilige i valori della Jihad. Al Moqrin è andato a combattere prima in Afghanistan, poi è corso in Bosnia unendosi al Battaglione verde contro i serbi. I biografi dell’integralismo raccontano di "un soggiorno" nelle carceri saudite dove ha studiato in profondità i testi sacri, radicalizzando la sua visione di militante schierato con Al Qaeda.



Un’interpretazione oscurantista trasformata, sul campo, in una guerra senza confini. Dopo aver attaccato le caserme saudite e ucciso persino dei musulmani, gli uomini di Al Moqrin hanno cambiato obiettivi: ora puntano all’industria petrolifera e ai sequestri di massa. Una scelta motivata dalla volontà di perturbare il mercato del greggio, con evidenti conseguenze sul piano internazionale, e scuotere dalle fondamenta la fragile monarchia saudita. Sulle pagine Internet del settimanale "Al Battar", un centro di addestramento virtuale dei radicali, Al Moqrin ha indicato con precisione la strategia. "Colpendo gli obiettivi economici alteriamo la stabilità necessaria a far progredire il settore. Questo è stato ottenuto attaccando i pozzi e gli oleodotti in Iraq... In questo modo sono venute (meno, NdR) le condizioni di sicurezza che permettevano il furto del petrolio musulmano". Per Al Moqrin i mujaheddin devono costringere i capitali occidentali e il personale straniero a lasciare il Paese. E cita ad esempio la strage in Spagna: "Grazie al colpo di Madrid l’intera economia europea ne ha sofferto". In un manuale inviato ad "Al Battar" da Abu Hajer - altro esponente qaedista - sono state specificate le tecniche e le condizioni per condurre sequestri di persona "nella Penisola arabica". Rapimenti segreti, sullo stile di quelli in Iraq, e "pubblici", come ieri a Al Khobar. La presa di ostaggi da parte dei ceceni al teatro Dubrovka di Mosca - sottolinea - è il modello da seguire. Il fine è quello di "imbarazzare" le autorità.



Nel manifesto comparso su Internet, Al Moqrin, da contabile del terrore, ha redatto in modo meticoloso l’elenco dei bersagli: 1) Gli investimenti degli ebrei e dei cristiani nei Paesi musulmani. 2) I gruppi internazionali. 3) Gli esperti di economia. 4) I beni o le attività (compresi i fast food) di cittadini occidentali. 5) Il materiale "rubato" nei Paesi musulmani. 6) Assassinare gli ebrei attivi in campo economico e punire coloro che fanno affari (con gli ebrei). Disposizioni messe in atto nei primi giorni di maggio con il massacro di Yanbu, dove alcuni tecnici occidentali sono stati trucidati e il cadavere di uno di loro trainato da una vettura per le vie della città. Al Moqrin aveva sollecitato questo tipo di "gesto esemplare" e i suoi hanno obbedito. Il successo dell’attacco è stato poi enfatizzato dalla partenza di numerosi esperti stranieri in seguito all’allarme lanciato dall’ambasciata Usa a Riad. Un invito a lasciare la zona ribadito ieri dopo l’attentato.



Incoraggiato dal terrore diffuso, l’estremista saudita ha pubblicato, sempre su Internet, un nuovo manifesto. I mujaheddin, secondo le disposizioni, devono ricorrere alle tattiche della guerriglia scatenando operazioni anche contro la famiglia reale saudita. Meglio agire all’interno delle città, dove è più facile sfuggire "a spie e occhi sospettosi". La cellula va protetta con una stretta compartimentazione, passando le informazioni solo a chi è coinvolto direttamente: "Molte formazioni impegnate nella Jihad hanno compiuto l’errore di dire a chiunque tutto sulle nostre formazioni". Ancora. I gruppi di fuoco devono essere composti "da non più di quattro persone". Le armi, i rifugi e le auto sono ottenuti con la collaborazione della "mafia e di altri trafficanti". Un atteggiamento che ricorda quello del takfir, ideologia estremista che permette qualsiasi cosa - compreso il peccato - a chi la segue purchè sia compiuta per servire la causa.



Il risvolto più inquietante è l’evidente infiltrazione da parte degli estremisti all’interno delle forze di sicurezza. Gli "Al Muwahhidun" hanno colpito le zone più sorvegliate del Paese, eludendo i controlli. In almeno due casi hanno utilizzato vetture che sembravano quelle della polizia e indossavano divise militari. Il sospetto degli ambienti diplomatici, condiviso da fonti di intelligence Usa, è che degli agenti complici dei terroristi abbiano passato il materiale.
A fronte di tutto questo, in Italia c'è chi interpreta da par suo la "lotta contro le dittature" promettendo di mettere "a ferro e fuoco" Roma per protestare contro la visita del "capo dei nazisti americani" Bush - utili idioti (o stronzi in malafede?) che non hanno mai mosso un dito contro i dittatori di Paesi come Cina, Cuba, Vietnam, Siria, Iran, Irak (ricordate l'atmosfera ai tempi della visita in Italia di Tarek Aziz? Niente manifestazioni di piazza da parte dei "pacifisti moralmente e antropologicamente superiori", allora, ma baci, abbracci e grandi pacche sulle spalle) per non parlare dell'URSS, dell'Afghanistan (ai tempi degli invasori sovietici prima, all'epoca applauditi a scena aperta dal pacifista Cossutta, e ai tempi dei talebani poi) o della Cambogia (pardon: Kampuchea Democratica) ai tempi di Pol Pot e della sua "via nazionale" al comunismo.



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