venerdì 14 maggio 2004

La contabilita' dell'orrore


Avevo già scritto come la pensavo riguardo al video che in queste ultime ore sta facendo il giro della Rete; riporto ora un editoriale di Sergio Romano (no permalink) pubblicato sul Corriere della Sera:
Foto, video: sbagliato contrapporre immagini



LE CONTABILITA’ DELL’ORRORE



di SERGIO ROMANO



Sulla stampa e nelle televisioni di molti Paesi europei è scoppiata la guerra delle immagini. Quella di un cittadino americano, barbaramente decapitato in Iraq, viene contrapposta alle fotografie dei prigionieri iracheni, seviziati e umiliati nel carcere di Bagdad. Esiste ormai una contabilità dell’orrore in cui, a seconda delle convinzioni e dei punti di vista, la barbarie dei terroristi assolve quella dei soldati americani o il comportamento di questi ultimi giustifica le reazioni dei loro nemici. Questa contabilità mi sembra non meno orribile di ciò che sta accadendo sui campi di battaglia iracheni. Esiste un fondamentalismo islamico, fanatico e crudele, da cui dobbiamo difenderci con i mezzi più adatti a sconfiggerlo. Ma quando la testa mozzata di un prigioniero americano serve a cacciare dallo sguardo dei lettori le sevizie di Bagdad ho l’impressione che l’Europa entri pericolosamente in contraddizione con se stessa. Mi spiego meglio. L’America ha dichiarato di essere entrata in guerra per salvare l’Iraq da un tiranno e creare le condizioni per un rinnovamento democratico del Paese. Molti di noi non hanno condiviso la decisione di Bush e restano convinti che la guerra abbia tragicamente peggiorato la situazione del Medio Oriente. Ma i fini dell’operazione americana, se coerentemente perseguiti, appartengono alla nostra cultura e debbono essere, nei limiti del possibile, approvati e incoraggiati. Continueremo a pensare che la guerra fu un errore, ma non possiamo voltare le spalle, soprattutto dopo il fatto compiuto dell’invasione e dell’occupazione, al futuro dell’Iraq. Abbiamo il diritto e il dovere, quindi, di giudicare la politica degli Stati Uniti alla luce degli scopi che si è proposta. Chi crede nella democrazia deve credere nella eguaglianza e nella dignità degli uomini. Può essere duro con i nemici e severo con coloro che si oppongono alla sua strategia. Può persino, se il prigioniero nasconde informazioni che minacciano la vita dei suoi soldati, ricorrere a mezzi brutali. Nessuna convenzione internazionale sulla tortura riuscirà a impedire che gli interrogatori, in molte circostanze, siano bruschi e inumani. I guerriglieri e i terroristi lo sanno e sono i primi, paradossalmente, a comprenderlo.



Ma quelle di Bagdad sono sevizie gratuite, umiliazioni, manifestazioni di disprezzo e dileggio. In un articolo apparso avant’ieri nell’ International Herald Tribune , uno studioso americano, Luc Sante, scrive che le fotografie del carcere di Abu Ghraib ricordano quelle dei cacciatori accanto ai loro trofei o, peggio, quelle che venivano scattate nelle cittadine del Sud degli Stati Uniti quando la gente si faceva ritrarre con grande soddisfazione accanto al nero impiccato o bruciato. Non sarebbero possibili se il prigioniero, per i carcerieri di Bagdad, non fosse un untermensch , un essere inferiore. Chi ritiene che la decapitazione di un americano giustifichi tali trattamenti pensa evidentemente che ogni iracheno sia un potenziale terrorista e perda, nel momento in cui viene incarcerato, il diritto a essere trattato come un essere umano.



E’ questa la ragione per cui la contabilità dell’orrore e la contrapposizione delle immagini sono, soprattutto per l’Europa, un tragico sbaglio. Chi se ne serve per giustificare ciò che è accaduto a Bagdad perde contemporaneamente la guerra irachena e la propria credibilità politica. Delle due sconfitte la seconda mi sembra di molto la più grave.


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