martedì 11 gennaio 2005

Magdi Allam su Palestina e Irak

Editoriale di Magdi Allam sulle elezioni in Palestina e sulle prospettive "elettorali" per l'Irak - forse un po' troppo ottimista, a mio avviso.



Dal Corriere della Sera (il grassetto è una mia aggiunta):

Il voto di Ramallah esempio per Bagdad
di Magdi Allam
Se giustamente ci si rallegra per il voto dei palestinesi a favore della pace, della sicurezza e dello sviluppo, a maggior ragione si dovrebbe auspicare il successo delle elezioni irachene in programma il 30 gennaio. In teoria per l’Iraq il traguardo dovrebbe essere più facilmente raggiungibile. Perché formalmente, così come sancisce la risoluzione 1546 approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’Iraq è uno Stato pienamente sovrano. Le forze militari straniere si dovrebbero ritirare entro il gennaio 2006. Quelle stesse forze che, d'intesa con le Nazioni Unite, sostengono e proteggono il processo di democratizzazione avviato dal governo Allawi, a cui concorrono un centinaio di partiti in rappresentanza delle principali comunità etniche e confessionali. Con l'autoesclusione di alcune fazioni sunnite integraliste ed estremiste legate a Osama Bin Laden e al passato regime di Saddam Hussein.



Ebbene, se paradossalmente si sono potute svolgere delle elezioni regolari nei territori palestinesi occupati da 38 anni mentre sembrerebbero a rischio in Iraq, se a vincerle è stato un candidato sfuggito a un attentato poche ore dopo la morte di Arafat e ripetutamente minacciato per la sua ferma condanna della violenza, ciò si deve al fatto che in realtà l'offensiva terroristica è stata significativamente contenuta. Lo conferma il numero delle vittime che è sensibilmente calato nell'ultimo anno (quelle palestinesi da 764 nel 2003 a 605 nel 2004, quelle israeliane da 182 a 90). Il Muro eretto da Sharon (e ancora... non è un muro, è una barriera provvisoria, NdR), che ha creato problemi non indifferenti per la vita quotidiana di tanti palestinesi e violato il tracciato delle frontiere del 1967, la tattica delle esecuzioni mirate dei capi terroristi che talvolta mietono vittime tra i civili innocenti, hanno tuttavia inflitto un duro colpo al terrorismo. La netta vittoria di Abu Mazen, che era sì un leader stimato ma tutt'altro che popolare, dimostra chiaramente che la disfatta del terrorismo palestinese è un bene non soltanto per gli israeliani ma anche per gli stessi palestinesi.



Alla maggioranza di noi tutto ciò fa piacere, al di là della condivisione o meno della politica di Sharon, perché speriamo nel successo delle prossime trattative di pace tra israeliani e palestinesi. A questo punto dobbiamo candidamente ammettere che se non vi è una maggioranza tra l'opinione pubblica internazionale che condivide simili sentimenti ottimistici per gli iracheni, si deve al fatto che Bush, a differenza di Sharon, non è finora riuscito a piegare il terrorismo in Iraq. All'opposto vi è una maggioranza che considera la successione ininterrotta di attentati suicidi o di autobombe alla stregua di una «resistenza» nazionale contro l'occupazione. Indifferenti al fatto che la gran parte degli iracheni sostengono il governo Allawi e il processo di democratizzazione, e che la gran parte delle vittime del terrorismo sono irachene. Immaginando che gli iracheni sarebbero felici di essere sottomessi alla mercé del terrorista Bin Laden e del tagliagole Zarkawi, o alla tirannia degli ex agenti segreti di Saddam.

La verità è che nella valutazione della vicenda irachena non si considera il vissuto della maggioranza delle persone, la comune aspirazione della gente semplice a una vita pacifica, sicura e prospera, ma prevale bensì l'ideologismo antiamericano. Un approccio pregiudiziale simile a quello riservato agli israeliani quando erano in balia di un'ondata incontenibile di attentati terroristici, ugualmente spacciati per «resistenza». Mentre diventa difficile affermarlo oggi quando è lo stesso presidente palestinese eletto a condannare il terrorismo. Comunque sia la vittoria di Abu Mazen, tacciato di «apostasia» da Bin Laden e che ha ordinato agli iracheni di boicottare le urne, promette bene anche per l'Iraq e per la lotta globale al terrorismo.



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