sabato 13 marzo 2004

Dopo-Madrid: due interessanti editoriali


Uno appare sul quotidiano Il Riformista (il grassetto è una mia aggiunta):
PACIFISMI

Nunca màs compañeros de Strada



All'indomani della carneficina spagnola, diventa ancor più surreale l'ipotesi di marciare il 20 di marzo per il ritiro dei soldati italiani dall'Iraq, e magari al fianco di chi solidarizza con la resistenza irachena. Non è infatti esclusa la possibilità che i circa duecento morti di Madrid siano state vittime innocenti proprio di qualcuno che intendeva così solidarizzare con la resistenza irachena. Sarebbe poi una prima assoluta vedere in piazza i Ds, all'indomani di una strage terrorista, mobilitati su una piattaforma che non sia quella della lotta senza quartiere al terrorismo, qualsiasi sia la forma che ha assunto nella tragedia spagnola. Ci troveremmo di fronte al paradosso che a Madrid si fanno manifestazioni contro il terrorismo (ieri con Berlusconi e Raffarin e il socialista Hollande, ma senza esponenti di rilievo della sinistra italiana) e a Roma sabato prossimo si fanno manifestazioni contro l'occupazione americana (e italiana, e spagnola) dell'Iraq.

Le piattaforme politiche sbagliate danno frutti avvelenati, e la storia di questi tempi corre troppo alla svelta per ignorarla. Se fosse vivo un Amendola, o un Lama, oggi non consentirebbe alla sinistra italiana di scegliersi una tale compagnia di strada. Fassino ha una via d'uscita da questo cul di sacco. L'attentato madrileno obbliga a una riconsiderazione delle priorità e delle parole d'ordine. Lasci che l'estremismo pacifista vada per la sua strada, e se proprio vuole portare in piazza le sue masse le mobiliti in un corteo per i pendolari spagnoli massacrati, per la difesa della giovane democrazia iberica, e per un solenne impegno paneuropeo a una lotta senza quartiere contro la barbarie del XXI secolo. Dica: "Nunca màs compañeros de Strada". Aiuti la sinistra italiana a non perdere il senno.
L'altro editoriale è di Gianni Riotta, sul Corriere della Sera:
Conversazioni, analisi e nuovi documenti ci anticipano la prima, approssimativa, reazione americana: "Contrariamente a voi europei, noi siamo persuasi, dopo averla combattuta in mezzo mondo, che Al Qaeda non sia un'organizzazione terroristica come le Br, l'Ira o Azione Diretta. Condensiamo per i nostri uomini l'opera del sociologo spagnolo Manuel Castells, oggi docente a Berkeley, 'La nascita della società in rete' (tradotto dalla Bocconi). Castells spiega il concetto di 'rete', la società non cresce più a piramide, un mattone dopo l'altro come nell'antico Egitto, ma a nodi, uno dopo l'altro, del tutto estranei ma che insieme rafforzano la ragnatela del presente. Aziende, governi e Al Qaeda funzionano così. Un gruppo basco può avere fatto un patto, magari per soldi, con operativi islamici, senza input diretti da Osama Bin Laden" spiegano a Washington.



Un esercito di lillipuziani che marcia diviso, per colpire unito il nemico. Per anticiparne le mosse, militari, intelligence e leadership politica prendono atto che non è più possibile operare sull'assunto del professor Samuel Huntington di uno "scontro di civiltà", Islam contro Cristianità (il saggio è tradotto da Garzanti). L'idea di Huntington è smentita dall'ordine di battaglia di Al Qaeda dopo l'11 settembre: i veri nemici di Osama sono i "rinnegati", arabi che cercano il dialogo con l'Occidente, l'ambasciata giordana a Bagdad, la polizia irachena, i quartieri residenziali in Arabia Saudita.



Combattere la guerra secondo il canone Huntington sarebbe deleterio, malgrado non siano mancate le tentazioni in questo senso al Pentagono e alla Casa Bianca.



(...)



L'interesse dell'approccio di Buruma e Margalit per gli strateghi militari sta nel loro contrapporsi a Huntington. Non solo non c'è scontro tra le civiltà, ma anzi l'odio che smuove Al Qaeda e le sue ragioni adotta argomenti, temi, idee nati in seno al mondo occidentale. "Gli 'occidentalisti' vedono l'Occidente come disumano, una brutale macchina efficiente ma senza anima, a cui ci si deve opporre con la violenza". Israele, e gli alleati degli Stati Uniti nella guerra all'Iraq, "sono simbolo del male, idolatri, arroganti, immorali, un cancro che solo la morte può estirpare".



"Dall'analisi di Huntington, crociata di odio Oriente contro Occidente, scaturiva un modello militare da trincea, noi contro loro. Ma dall'analisi di Buruma è evidente che i fondamentalisti usano contro di noi un arsenale di ragionamenti che spesso prende in prestito concetti e comportamenti diffusi in Occidente. E allora ecco che Al Qaeda può colpire in Spagna, come a Bali, New York, Bagdad e Riad, odiando i dittatori laici musulmani come lo Scià di Persia o Saddam Hussein al pari di Bush e Aznar". L'origine dell'"occidentalismo", il risentimento contro la civiltà occidentale, ha ramificazioni, secondo Buruma e Margalit, nelle teorie del nazifascismo, nello stalinismo, nella Conferenza di Kyoto del 1942 che propose "la guerra per battere la modernità".



(...)



"La strage di Madrid, sia di matrice domestica o internazionale, costringe a rivedere la strategia militare, dalla guerra di posizione a Kabul e Bagdad alla guerra di movimento in tre continenti". Il fronte non passa più tra Ovest ed Est, ma tra tolleranza e intolleranza, tra chi, in Occidente e nei Paesi arabi, accetta il dialogo e chi invece sceglie la violenza come unico strumento politico.



"Da questo punto di vista - conclude l'analista che ha accettato di dialogare con il Corriere - l'inchiesta che dirà se si tratta di Eta o di Al Qaeda è importante per la polizia, ma meno per noi dell'antiterrorismo. Perché la percezione dell'opinione pubblica mondiale, i titoli 'Ground zero a Madrid', inglobano già la strage nei parametri di guerra all'Occidente. L'immagine che scava le coscienze è una Al Qaeda europea, o una nuova Eta che ha scelto la scala terroristica 11 settembre". Se l'analisi di Buruma&Margalit è corretta, e la prima guerra globale diventa anche in Europa guerra civile tra tolleranza e intolleranza, sarà bene non dimenticare un concetto che gli esperti militari non sottolineano: "Se il nemico ci ruba idee e cultura non possiamo assomigliargli... nell'equilibrio tra sicurezza e libertà civili, non bisogna mai sacrificare la libertà... né opporre al loro fondamentalismo il nostro. La sopravvivenza delle nostre libertà dipende dalla volontà di difenderci contro il nemico esterno, resistendo alla tentazione dei nostri leader di usare la paura per distruggere le libertà".




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