giovedì 20 novembre 2003

La Turchia, l'Italia e la tentazione di chiamarsi fuori


Ancora un bell'editoriale su Il Riformista online (e in edicola domani), intitolato "Da ieri la Turchia è entrata in Europa":
Da ieri la Turchia è entrata in Europa. Dum Bruxelles consulitur, ci hanno pensato i terroristi ad accettare la richiesta di adesione di Ankara all’Unione. Il fanatismo islamico, che trova evidentemente in quel paese uomini e mezzi per fare ciò che non riesce a fare altrove, l’ha scelto come campo di battaglia preferito, e così facendo ha messo fine a tutte le ambiguità e le incertezze che hanno fin qui distinto l’Europa, in questo caso più franca che tedesca.

Se la speranza dell’Occidente di vincere la guerra col terrore dipende dalla sua capacità di conquistare l’Islam moderato e far con esso causa comune, la Turchia deve essere anche per noi l’epicentro della guerra. Un paese che ha dimostrato la possibilità di coesistenza tra fede islamica e laicità dello stato, tra religione e democrazia, tra credo e diritti civili. Non sarà perfetto, in termini di democrazia e di diritti civili, ma è uno stato guidato da un partito islamico che dice no all’islamismo. Per l’Europa, accoglierla nel suo seno è un’occasione storica per dimostrare che non è una fortezza cristiana lanciata in una crociata contro l’Islam. Il 2004 è il termine massimo per rispondere di sì alla candidatura di Ankara. Un nuovo nì sarebbe incomprensibile per i turchi, e li spingerebbe inevitabilmente nelle braccia dei nemici dell’Europa. La Ue sarà forse meno franco-diretta, una volta che la Turchia sarà entrata, ma questo è un problema di Chirac, non dell’Europa. E, francamente, non ci angoscia così tanto, al momento.

Ma il nuovo attacco alla Turchia dice anche qualcosa a noi italiani, e al dibattito che si sta svolgendo da noi. Ankara non solo è un paese islamico, ma è anche un paese che non ha partecipato alla guerra in Iraq e che ha anzi negato alle truppe di Bush l’uso del suo territorio, costringendo gli americani a uno spericolato cambio di strategia militare nell’attacco a Saddam. Ciononostante, è un obiettivo primario del terrorismo. Non è vero dunque che il terrore colpisce chi ha colpito in Iraq. Colpisce anche l’Onu, la Croce Rossa, la Turchia. Colpisce tutti. Coglie dunque perfettamente il punto - ancora una volta - il cardinal Ruini. Ieri gli hanno chiesto se i diciannove morti di Nassiriya sono caduti a causa di una guerra che non doveva farsi, e lui ha risposto: "Sono vittime del terrorismo punto e basta". Questa non è la guerra dell’Iraq. Questa è un’altra guerra. Chiedere ai turchi per conferma.


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