lunedì 15 dicembre 2003

Saddam: altri interessanti commenti


Segnalo i commenti, apparsi sul Corriere della Sera, di Gianni Riotta
Le stragi dell'estate e la guerra di posizione in Iraq hanno messo in guardia l'Amministrazione: pacificare il Paese richiederà anni. E il tono è dunque cauto. Bush: "La cattura di Saddam non implica la fine della violenza in Iraq...i terroristi continueranno a uccidere pur di non accettare la libertà". Blair: "La sua sorte è ora nelle mani del popolo iracheno...è l'ora dell'unità, della riconciliazione e della pace". Bremer parla addirittura a guerriglieri e terroristi: "In spirito di conciliazione gettate le armi e unitevi ai vostri compatrioti per ricostruire il Paese".

Niente arroganza, niente retorica dura, da "neoconservatori", ma un'Amministrazione che torna indietro all'Alba Rossa quando George Bush padre si apprestava a governare, in spirito di coalizione con gli alleati. Anche a Washington la realtà è dura maestra. Bush, che il primo maggio parlava di "missione compiuta", sa che la strada è lunga, anche se le buone notizie sull'economia, con la creazione di posti di lavoro, e Saddam Hussein nella "pattumiera della Storia" con Slobodan Milosevic, saranno ottimi argomenti di campagna elettorale 2004.
di Magdi Allam
Saddam ha una tradizione di burattinaio del terrore. Da quando, dopo l’11 settembre, Bush l’ha chiaramente indicato come il capofila dell’Asse del Male, Saddam si era prodigato nell’alimentare il terrorismo suicida palestinese offrendo un premio di 25 mila dollari alle famiglie dei "martiri", i kamikaze che si fanno esplodere tra i civili israeliani. L’obiettivo era doppiamente malvagio. Massacrare il maggior numero possibile di ebrei per costringere la comunità internazionale a concentrarsi sulla crisi mediorientale, e rinviare il più a lungo possibile il progetto di Bush di scalzare dal potere il regime tirannico baasista.

La mentalità del boss del terrore Saddam l’ha esibita anche all’atto della cattura. Lui che si identificava con gli interessi supremi della Nazione irachena, che aveva promesso di combattere e cadere da martire pur di non arrendersi al nemico, si è consegnato vivo senza opporre alcuna resistenza. Non ha usato i due kalashnikov trovati in suo possesso né per difendersi né per suicidarsi. Ha mostrato una calma sorprendente e ha difeso il suo regime. Saddam è il tipo di uomo che un detto arabo qualifica come "quello che ha paura ma non si vergogna". Ha paura del più forte ma non si vergogna di infierire contro il più debole. È sempre stata la sua prassi esistenziale. Sfociata nel genocidio di un milione di iracheni ma allo stesso tempo in una sconcertante abilità a sopravvivere politicamente anche grazie al sostegno dell’Occidente.

Con Saddam il terrore all’interno dell’Iraq e il terrorismo all’esterno sono state due facce della stessa medaglia.
e di Ernesto Galli Della Loggia
Oggi, per la prima volta dopo il 1945, l’intero gruppo dirigente - non già un singolo sia pure importante esponente, come nel caso del serbo Milosevic - l’intero gruppo dirigente, dicevo, di un regime dittatoriale responsabile dello scempio e della morte di centinaia di migliaia di esseri umani può essere chiamato a rendere conto dei propri misfatti nelle forme, come è assolutamente necessario, di un regolare processo.

Non solo, ma ciò avviene - ed è questo ciò che conferisce all’evento un rilievo enorme - nel cuore del mondo islamico. Uomini e donne di quel mondo, immersi da sempre in un’atmosfera sociale di capillare autoritarismo, avvezzi alla insindacabilità e agli arcana del potere, sempre costretti a piegare prima o poi la testa ai suoi voleri, vedranno per la prima volta un tale potere smascherato e giudicato: vedranno passare davanti ai propri occhi il repertorio dei suoi crimini e lo spettacolo degli ex governanti ormai ridotti all’impotenza.

Per la prima volta, e per giunta su un piano simbolico violentissimo, l’Islam sarà chiamato a guardare in faccia alcune delle sue storiche contraddizioni e la sua semisecolare miseria politica. Chi può dire quale effetto tutto ciò sortirà su quel mondo, sulla sua opinione pubblica e, non da ultimo, sui regimi dispotici che ancora per intero lo governano? Di ogni effetto positivo il merito andrà comunque agli Stati Uniti, alla loro tenacia, alla loro determinazione.



(...)



La cattura di Saddam vivo vale inoltre a smentire nella maniera più convincente una delle tante favole dietrologiche con le quali ama sempre gingillarsi quella parte dell’opinione pubblica europea che si ritiene particolarmente smagata e informata delle cose del mondo: la favola di chissà quali segreti e accordi tra gli Usa e Saddam per garantire comunque l’impunità di quest’ultimo, sulla scia di altre vociferate collusioni all’insegna del binomio armi-petrolio risalenti indietro negli anni. Anche con queste favole l’Europa rivela la sua inconsistenza, resa quantomai evidente dalla singolare coincidenza nella giornata di ieri di quel che è accaduto in Iraq con il fallimento del vertice dell’Unione. Perché tra le lezioni della cattura di Saddam c’è pure questa: di fronte alla chiarezza di obiettivi degli Stati Uniti (obiettivi discutibili, certo, ma reali e plausibili), di fronte alla loro capacità di perseguirli muovendosi sulla scena del mondo, di fronte al loro impegno, che in fin dei conti è anche morale, di rispondere al terrorismo colpo su colpo, di fronte a tutto ciò cosa ha saputo pensare, cosa ha saputo proporre, cosa ha saputo fare l’Europa? Nulla, nulla di serio e di vero. L’asse franco-tedesco, che si arroga la rappresentanza del Continente, senza neppure essere in grado, peraltro, di esercitarvi una reale egemonia, è stato capace solo di alzare la bandiera della dissociazione dagli Usa e del finto eticismo irenico a copertura del proprio sostanziale vuoto morale e politico. Seguito, almeno così dicono i sondaggi, dalla maggioranza degli europei, i quali forse amano tanto la pace solo perché convinti in cuor loro di non sapere e di non poter fare ormai niente altro.


Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.