mercoledì 14 luglio 2004

Un disastro annunciato


La deriva statalista, proporzionalista e neo-post-ex-(quelchevolete)-DC di questi giorni non mi sorprende più di tanto: nel mio ambito lavorativo (l'informatica) da tempo immemorabile è in uso la sigla GIGO, che è l'acronimo di "Garbage In, Garbage Out", ovvero: un programma che riceve in input "spazzatura" non potrà che produrre risultati-spazzatura in output.



Il Garbage Out prodotto dalla coalizione di governo e in generale dalla nostra classe politica negli ultimi tempi non è altro che il risultato diretto di un colossale, disastroso Garbage In iniziale, una sorta di peccato originale che ha ucciso nella culla la Seconda Repubblica e ha soffocato sul nascere le speranze di buongoverno di molti italiani, sia a destra che a sinistra.



Il peccato originale di cui parlo è il fallimento del referendum sul sistema elettorale uninominale a turno unico, che ha impedito di fatto la nascita di una Seconda Repubblica a democrazia compiutamente liberale, basata su di un sistema elettorale bipartitico, autenticamente maggioritario, anzichè sull'attuale pastrocchio "bipolare".



Un sistema tendenzialmente bipartitico, come quello in auge in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, avrebbe "costretto" i principali competitors, i principali partiti del centro-destra e del centro-sinistra, a presentare agli elettori dei programmi politici tendenzialmente centristi, "moderati", favorendo la nascita e il consolidamento, nei due schieramenti, di una cultura autenticamente riformista e riformatrice, liberale da una parte e socialdemocratica dall'altra.



Un sistema bipolare come quello attuale invece produce esattamente l'effetto contrario: dal momento che anche un partitino col 3% dei voti può risultare determinante per questa o quella coalizione, scatta la corsa per differenziarsi (sic) dal resto della coalizione, la lotta, prima di tutto intestina, per conquistare o mantenere quello zero virgola di vantaggio che porta ad essere l'ago della bilancia e a condizionare pesantemente le scelte dell'intera coalizione.



In una situazione simile è nella logica delle cose che a prevalere e a far sentire maggiormente la propria voce siano non le componenti moderate, ragionevoli, concrete e costruttive delle due coalizioni, ma viceversa le componenti estremiste, massimaliste, irragionevoli, disposte a proporre e a sostenere qualunque "linea" politica, anche la più assurda e irrealistica, pur di raggiungere il proprio duplice obiettivo: sopravvivere come forza politica autonoma e al tempo stesso condizionare nella maniera più estesa possibile la linea politica generale della coalizione di appartenenza.



I politologi in questi casi riassumono la situazione dicendo che il bipartitismo all'anglosassone privilegia il centro, mentre il bipolarismo privilegia le ali estreme.



La responsabilità del fallimento di questo importantissimo, cruciale referendum - una occasione forse unica, nella storia del nostro Paese - ricade in larga misura proprio su chi, coerentemente con la sua più volte proclamata, a parole, fede liberale, avrebbe dovuto fare di questo referendum "tatcheriano" la sua bandiera: Silvio Berlusconi.



È stato infatti Berlusconi che, allo scopo (miope) di tenersi buoni gli alleati, in occasione del voto su quel referendum ha di fatto lasciato in stand-by la macchina organizzativa di Forza Italia, favorendo quel clima da "tutti al mare" di craxiana memoria che ha portato al mancato raggiungimento del quorum - per soli 300.000 voti.



Si potrebbe commentare dicendo che "chi è causa del suo mal, pianga se stesso": sfortunatamente, gli effetti di quella sconfitta referendaria non si stanno facendo sentire solo su Berlusconi - ormai ridotto, oggi pomeriggio, a promettere una legge elettorale proporzionalista proprio a quelli che nel centrodestra sono mortali nemici suoi, del suo partito e del suo progetto, a questo punto ormai abortito, di riforma in senso liberale del Paese: gli ex(?)-democristiani.



Gli effetti stanno interessando tutte le forze e gli schieramenti politici, e fanno intravedere un futuro fosco per il nostro Paese: anche se non si arrivasse al ripristino tout-court del sistema elettorale proporzionale (con il suo inevitabile contorno di governicchi, governi balneari, accordi sottobanco, ribaltoni e ribaltini, tradimenti a ripetizione della volontà e delle speranze degli elettori: davvero non ci sono bastati 50 anni di DC, dobbiamo per forza morire democristiani e consociativisti?), anche se si restasse nel solco dell'attuale bipolarismo, magari ulteriormente annacquato per fare contenti i partitini del 3% sia di destra che di sinistra, la situazione resterebbe comunque gravissima: senza un deciso passaggio all'uninominale a turno unico e quindi al bipartitismo le speranze di prosciugare la palude partitocratica italiana, il sottobosco di partiti, partitini e cespugli che rendono la nostra politica sempre più simile a una dantesca selva oscura, sono praticamente pari a zero.



In queste condizioni non sono "solo" le speranze di maggiore governabilità e di stabilità delle future legislature ad andare a farsi benedire: a finire nel garbage, nella spazzatura, è anche la speranza di una riforma autenticamente liberale di questo Paese, la speranza di trasformare questa Italia sempre più sgangherata e inguardabile in un Paese normale in cui sia possibile vivere, lavorare, sognare, fare progetti senza provare costantemente la tentazione di fare le valigie e di andarsene sbattendo la porta.



Io per ora resto qui, ma la mia valigia è già pronta - e, se dovessi decidermi, non ho esattamente intenzione di volare a Cuba: appena un pochino più a ovest, diciamo.



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