lunedì 12 luglio 2004

Israele, parla il baby-kamikaze


Molto istruttiva l'intervista al ragazzino che qualche tempo fa anziché farsi saltare in aria si è consegnato alle truppe israeliane al checkpoint di Hawara:
"Sono il più giovane in famiglia, a nessuno importava di me. I miei genitori mi sgridavano perché vado male a scuola, i compagni di banco mi prendevano in giro, e allora ho deciso di diventare kamikaze. Così, almeno, qualcuno si sarebbe ricordato di me".

Hussam Mahmud Bilal Abdu, 16 anni, è detenuto nella prigione israeliana Ha Sharon, a nord di Tel Aviv. Zona 7, assieme agli altri 66 minorenni palestinesi arrestati per aver compiuto gravi crimini contro la sicurezza. E’ lui il ragazzino che si avvicina con le mani alzate a un posto di blocco israeliano con la cintura esplosiva legata in vita. La scena, ripresa da una televisione straniera, mentre si taglia attentamente con delle forbici il giubbotto esplosivo, ha fatto il giro del mondo.



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Vive in una cella con altri due detenuti. In ogni stanza una piccola televisione e un ventilatore.

Hamas e Jihad mandano ai ragazzi dai 15.000 ai 30.000 shekel al mese (dai 3000 ai 6000 euro) affinché possano comprarsi altre comodità: l'ultima, walkman per tutti.



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Abdu deve ancora imparare a leggere e scrivere. "Non mi è mai piaciuto studiare, ma qui le lezioni sono facili, ho meno problemi che nella mia vecchia scuola a Nablus, quando uscirò di prigione voglio diventare tecnico e riparare radio e televisioni".

Sembra più un bambino che un adolescente, più basso dei suoi compagni, un teenager in miniatura, due grossi occhi fin troppo ingenui. E quando parla, non gli daresti più di dieci anni.

Lo scorso marzo, dopo una forte lite con i genitori, Abdu ha deciso di diventare kamikaze. I responsabili delle organizzazioni terroristiche non gli hanno fatto troppi esami: in due giorni lo hanno provvisto di cintura esplosiva e gli hanno ordinato di diventare shahid al chek point di Hawara. "Quando sono arrivato - dice - ho visto delle donne e bambini e non me la sono sentita, così ho chiamato i soldati e gli ho detto che stavo indossando una cintura".

L’arruolamento di Abdu è durato meno di due giorni "Dopo aver detto a Nasser, il mio migliore amico, di voler diventare shahid , mi ha portato dai responsabili. Mi hanno chiesto di nuovo se ero convinto di ciò che facevo poi mi hanno dato 100 shekel (circa 20 euro), portato da un fotografo per l’ultima foto con la cintura e accompagnato a casa. Il giorno dopo ho detto ai mie genitori 'arrivederci' e sono andato a ritirare la cintura esplosiva".



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Per chi conosce Abdu è stata una vera sorpresa vederlo in televisione, non ha mai fatto parte di organizzazioni terroristiche e tanto meno ha partecipato a discussioni politiche: "Non ho mai approvato gli attentati, quando c’erano pensavo tra me e me che non valeva la pena morire così. Comunque non mi interessavano. Io volevo diventare kamikaze solo perch´ ero arrabbiato con i miei genitori, volevo essere più importante per loro". In prigione Abdu ha fatto nuove amicizie, "ma il mio migliore amico rimane sempre Nasser, non mi importa se mi ha portato da quei signori e mi ha aiutato a diventare kamikaze".
Ecco all'opera le gloriose "formazioni combattenti" di Arafat e dei suoi sodali; ecco come si recluta, con quali parametri e con quanti scrupoli, chi dopo il martirio potrà godersi in paradiso nientemeno che 72 vergini (sic) e svariati altri benefits; ecco come si concretizza la superiorità morale dei terroristi palestinesi e dei loro sostenitori occidentali.



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