mercoledì 7 luglio 2004

Regione Campania: 'le scuole possono chiudere per il Ramadan'


Davanti a notizie così, viene da pensare che la battaglia ormai è già quasi completamente persa: l'Italia e l'Europa rischiano di allontanarsi sempre di più dal modello dello Stato di diritto laico, liberale e democratico, e di tradire gli ideali di libertà e uguaglianza tanto pomposamente strombazzati nel preambolo della cosiddetta "costituzione" europea.



Personalmente ero e resto contrario all'inserimento, in quel documento, di un esplicito richiamo alle "radici cristiane": sono convinto che l'ingresso della Turchia nell'Unione sia un obiettivo prioritario, di interesse assolutamente strategico - anche e soprattutto per il messaggio che invierebbe ai Paesi della Riva Sud del Mediterraneo - e un preambolo troppo "orientato" avrebbe potuto costituire un ostacolo nel processo di avvicinamento e, spero, di futura integrazione della Turchia nella UE.



Detto questo, sono ancora più contrariato però quando vedo calpestare quelle stesse radici (che di fatto sono le radici della cultura "occidentale" tout court, fanno parte della nostra cultura di tutti i giorni: anche un ateo anticlericale come me si sente immerso in questa cultura, anch'io rispetto a certe cose "non posso non dirmi cristiano", insomma) da parte di gente che si è fatta ammaliare dalle sirene (pericolose quanto e più di quelle di Ulisse) del relativismo culturale.



Riporto di seguito un commento di Paolo Macry, pubblicato sul Corriere della Sera:
Il passo sbagliato

di Paolo Macry



Più o meno, la cosa è andata così. Che mentre dalla Casa Bianca partiva l’ordine di esportare la democrazia in Medio Oriente e, quasi all’unanimità, l’Assemblea nazionale francese votava il divieto per gli studenti di ostentare i propri simboli religiosi, a Palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania, veniva deciso che le scuole potranno interrompere le lezioni in occasione del Ramadan e del Capodanno cinese. Un provvedimento che, volendo dar modo alle minoranze di osservare i propri culti, tradisce molti buoni sentimenti ma anche una certa dose di leggerezza politica. Intendiamoci, non saranno due giorni di studio in meno a compromettere più di quanto non sia l’istruzione campana, con il suo deficit di aule, gli alti tassi di evasione, eccetera. E del resto, più pragmatici dell’assessore Adriana Buffardi, sembra che i presidi si siano ben guardati, per ora, dall’attuarne il suggerimento multiculturalista.



Ma intanto, ancora una volta, il ceto dirigente meridionale si avventura sul terreno minato di un’autorappresentazione corriva del Sud come laboratorio della convivenza fra comunità e fra etnie. Idea generosa se non fosse peregrina. Mentre agli scolari cinesi e musulmani viene offerto un simbolo di parità, le loro famiglie costituiscono i gruppi di lavoro nero più sfruttati dell’hinterland napoletano e le loro abitazioni sono peggio dell’inferno di Coketown. Per non dire dei neonati extracomunitari che vengono esposti sui marciapiedi cittadini, in attesa di qualche centesimo, senza che gli amministratori pubblici facciano una piega. Ma questa, si dirà, è la terra del pensiero meridiano, della bella lentezza tollerante, di un’antropologia che si vorrebbe arricchita grazie allo storico incrocio fra le culture poste sulle sponde europee ed africane del Mediterraneo, il luogo di una tipica compenetrazione e comprensione anche tra condizioni diverse. Un quadro sfocato, oleografico. Soltanto nella Napoli meridiana può capitare che un gip rimetta in libertà ventotto sospetti terroristi islamici (facendo infuriare il sottosegretario Mantovano), dopo aver ragionato in modo sottile sul significato culturale e non guerresco della loro voglia di jihad. E che anche una Regione usualmente sobria, con la proposta di qualche festività esotica, ceda alla tentazione di ostentare il solito surplus di tolleranza sudista. Quasi che, essendo ai confini di questo tormentato Occidente, il Mezzogiorno non avvertisse la necessità di fare sempre più, della scuola, il luogo di acculturazione all’idea dello Stato laico e di esercizio dell’identità nazionale ed europea. Invitando anche gli studenti delle minoranze islamiche e cinesi a votare liberamente il plebiscito dell’appartenenza, come diceva Renan.



Questioni marginali? Dopo tutto, che la vicenda francese del velo proibito abbia attirato su Chirac le minacce di Al Qaeda, non è esattamente un dettaglio. Piaccia o meno, il tema del rapporto fra culture - e con questo s’intende un campo di forze che oggi comprende cristianesimo, islam ed ebraismo - è diventato il cuore non soltanto della politica internazionale ma delle stesse ansie quotidiane degli europei. Fino a un paio di decenni orsono, simili questioni tenevano banco negli Stati Uniti, incendiando i liberal dell’Est Coast, la borghesia nera, gli omosessuali, le donne e magari qualche accademico in cerca di una cattedra alla Columbia. A quei tempi, settentrionali o mediterranei, sarebbe stato difficile negare il valore innovativo di un percorso intellettuale che, da Nathan Glazer a Edward Said, rivendicava le identità specifiche delle minoranze. In seguito, tuttavia, sono apparsi con chiarezza anche gli effetti collaterali della lezione multiculturalista, il proliferare dei confini, la spaccatura delle nazioni, la legittimazione di comunitarismi feroci. E l’etnicità s’è mischiata alla politica dei gruppi senza Stato, come i musulmani kosovari, o delle grandi potenze, come la Russia del genocidio ceceno. Fino a richiamare le insidiose teorie della Kulturnation. Sicché, se un quarto di secolo fa eravamo tutti relativisti, oggi sono numerosi coloro che avvertono piuttosto il vuoto lasciato da un’identitè europea storicamente superba, aggressiva, arrogante e ormai nevrotica, paranoide, psicologicamente abulica. E certo non risolverà simili umori, anzi rischia di prepararne una deriva xenofoba, l’ingenua uscita di sicurezza del multiculturalismo applicato al calendario scolastico.


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