domenica 22 febbraio 2004

Gente piccina, parole miserabili


Così Luciano Violante, capogruppo DS alla Camera, in un'intervista al Corriere della Sera:
C.: I nostri soldati non dovevano andare?

V.: "Assolutamente no, come Berlusconi ha riconosciuto quando disse 'per Nassiriya sono preoccupato, se governavano gli altri non li avrebbero mandati e i soldati non sarebbero morti' ".



(...)



C.: La separazione del decreto non sarà una foglia di fico? Sapete che il governo la negherà e non volete dire "no" ai soldati di Nassiriya.

"L'abbiamo fatto a luglio e lo rifaremmo. I soldati li ha mandati il governo, non noi. E senza sufficiente copertura, come dicono i morti di Nassiriya. C'è una responsabilità precisa."
Parole miserabili, pronunciate da un figuro che - il solo pensiero mi fa rivoltare lo stomaco - in passato ha anche ricoperto importanti cariche istituzionali, e che quindi dovrebbe avere almeno un minimo - ma proprio un minimo, non pretendo tanto - di senso dello Stato, prima ancora che di dignità personale e di onestà intellettuale.



Se fossi un tipo più emotivo e sanguigno - o, poniamo, un girotondino - immagino che non potrei trattenermi dal criticare questo signore (nel senso siciliano del termine: anch'io, nel mio piccolo, ho viaggiato) facendo ricorso a espressioni quali "fellone", "traditore della sua gente", "indegno di servire lo Stato" e via tonitruando - dato però che queste cose non fanno parte del mio modo di fare, lascerò che a rispondergli sia un editoriale pubblicato su Il Riformista il 13 novembre scorso, un giorno dopo la morte di quei 19 italiani "mandati a morire in Irak dal governo, non da noi" - parola di Luciano Violante, capogruppo al Parlamento dei Democratici di Sinistra, ex Presidente della Camera dei Deputati e prestigioso esponente dell'opposizione "seria e responsabile", quella che dovremmo votare per liberarci una buona volta dal "poco serio e poco responsabile" governo di centro-destra.



Editoriale de "Il Riformista" del 13/11/2003, intitolato "Perché dobbiamo restare - che cosa deve cambiare"



L'emozione ci spinge innanzitutto a chiederci perché, e se ne valeva la pena. Alle emozioni bisogna dare risposte semplici, semplici come quella che ha dato ieri il presidente Ciampi: "Sono militari caduti mentre facevano il loro dovere, per aiutare il popolo iracheno a ritrovare la pace, l'ordine, la sicurezza. I nostri carabinieri, le nostre forze armate, sono in Iraq su mandato e volontà del Parlamento". Ecco la ragione per cui sono morti.



Abbiamo apprezzato i numerosi eletti del popolo che, anche militando nell'opposizione come Fassino, D'Alema e Rutelli, hanno ieri ricordato il principio di ogni democrazia: "right or wrong, my country". E che per questo si sono trattenuti dalla speculazione politica, per far sentire agli italiani in guerra l'unità della nazione dietro di loro.



(...)



Prima o poi verrà in superficie il grumo di dubbi che alberga nella coscienza del paese: dovevamo andare? vale la pena morire per Nassiriya?



La risposta, purtroppo, è iscritta nello stesso massacro di ieri: il fronte principale della guerra al terrorismo è oggi in Iraq. L'Italia ha deciso di partecipare a questa guerra, e non solo per solidarietà con gli alleati, ma perché è una guerra dichiarata anche a noi.



(...)



Il nemico è spregevole, spara anche sulla Croce Rossa, uccide fratelli arabi, inermi cittadini iracheni, (anche ieri, insieme con i militari italiani). Dunque la guerra è sanguinosa. Vincerla, a questo punto, è un dovere, anche per non rendere vano il sacrificio orribile di Nassiriya. L'unica cosa di cui un paese serio deve oggi discutere è perciò come vincerla. Che cosa fare, in rapporto con gli alleati, per accrescere la sicurezza delle nostre truppe. Per migliorare l'intelligence. Per fare il vuoto intorno ai terroristi, prosciugando quella vasta area di sbandati che sono stati travolti dalla caduta di un lunghissimo regime e che oggi ha il problema, quotidiano, di cercare un desco e un datore di lavoro.



(...)



Si continuerà a discutere a lungo se la guerra per cacciare Saddam sia stata giusta o sbagliata. Quello che è oggi chiaro è che in Iraq c'era un nido di vipere. Si continuerà a discutere a lungo se era meglio lasciare che un dittatore come Saddam tenesse sotto il tallone, insieme alla sua gente, anche quel nido di vipere. Ma ora il coperchio è saltato, le vipere sono libere, non resta che schiacciarle a una a una, con la forza e l'intelligenza. Ritirarsi, come dicono gli irresponsabili, vorrebbe dire trasformare l'Iraq in un nuovo Afghanistan. Il cui abbandono da parte dell'Occidente incubò l'attacco alle Due Torri e l'avvio di quella guerra che ieri si è presa il suo tributo di sangue italiano. La risposta dell'Italia non può dunque essere che quella annunciata da Ciampi: "Continueremo a svolgere, insieme con i nostri alleati e con le Nazioni Unite, il nostro ruolo nella lotta al terrorismo internazionale".
Che legga, Violante, e poi si vergogni - se ne è ancora capace.



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