lunedì 6 ottobre 2003

La Siria, l'ONU e Israele: il mondo alla rovescia


Così, in risposta al bombardamento israeliano di ieri la Siria ha chiesto la convocazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU - dell'ONU, un organismo i cui Paesi membri sono in larga maggioranza delle dittature, in cui rappresentanti di queste dittature sono stati eletti (sic) alla guida di commissioni come quella per i diritti umani e per il disarmo...



Ancora una volta la democratica e politicamente corretta ONU si mobilita per prendere le difese di un Paese implicato in fatti di terrorismo e per censurare chi non ha fatto altro che esercitare il diritto all'autodifesa sancito proprio dalla Carta delle Nazioni Unite.



Per avere un'idea della vera natura della Siria "vergine e martire" che bussa al portone dell'ONU per ottenere giustizia contro la "gratuita aggressione sionista" basta leggere quanto appare oggi sul Corriere della Sera:
"Israeliani e americani - ha rivelato al Corriere una fonte diplomatica europea - sono in possesso di intercettazioni recenti dove si sentono i responsabili di alcuni gruppi dare l’ordine d’attacco da Damasco"



(...)



La Siria, e non da oggi, offre il proprio territorio a una miriade di formazioni armate. Per le autorità locali non si tratta di terroristi bensì di resistenti che si oppongono all’occupazione della loro terra. L’esempio più chiaro è quello del segretario della Jihad islamica, Ramadan Shalla. Vive da anni a Damasco, dispone di un ufficio e strutture propagandistiche. L’apparato politico è affiancato dalla presenza di campi d’addestramento dove si allenano feddayn palestinesi, estremisti libanesi e turchi. Gli istruttori sono spesso i pasdaran, i guardiani della rivoluzione iraniani, alleati tattici dei siriani. Nei primi due anni di intifada Shalla rilasciava alle tv arabe interviste "in diretta" da Damasco. Poi, per contenere le accuse, si è ricorsi a un trucco: nella scritta in sovraimpressione è scomparso il nome della capitale siriana. Una cortina fumogena adottata anche nei confronti di Hamas e dei gruppi palestinesi laici, che dispongono in città di alcuni uffici. In risposta alle pressioni americane, la Siria ha ordinato la chiusura delle sedi. In realtà si sono solo spostati di qualche metro o hanno cambiato semplicemente la targa sul portone. Sin dall’epoca degli accordi di Oslo (1993), considerati un tradimento, fazioni come il Fronte popolare di Habbash, la fazione di Jibril, i reduci di Abu Musa hanno trovato in Siria denaro e ospitalità.

Per non imbarazzare troppo il governo del prudente Bashar el Assad, gli estremisti hanno adottato uno schema ben oliato accentuando in Siria la presenza politica e mantenendo nel vicino Libano i campi d’addestramento. Con due aree di concentramento: la valle della Bekaa, nell’est del Libano, a ridosso della frontiera siriana; la zona di Ein El Heilwe, nel sud. Lungo questo asse geografico si è poi consolidata la collaborazione con i guerriglieri sciiti dell’Hezbollah e i pasdaran iraniani. Sono loro a perfezionare le tecniche d’attacco, sono i loro artificieri che mettono a punto ordigni letali, è il loro ufficio propaganda che diffonde comunicati di rivendicazione. Una speciale sezione si occupa di raccogliere i dati, di inciderli su CD-ROM e di farli arrivare dove serve. Nei campi profughi del sud Libano come in quelli di Nablus, in Palestina.

La diaspora estremista ha infine due avamposti-chiave. L’Iran degli ayatollah, da sempre avversario di qualsiasi forma di dialogo e sponsor della Jihad. I Paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa, che alimentano tanto le casse di Hamas che l’ideologia fondamentalista.
Fonte: Guido Olimpo sul Corriere.



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