domenica 26 ottobre 2003

Altro che vittoria della laicita' dello Stato


La sentenza del tribunale dell'Aquila che impone di rimuovere il crocefisso dalle aule di una scuola è tutto tranne che una vittoria della laicità dello Stato.



Innanzitutto, è una sentenza che viola proprio una legge dello Stato italiano, tuttora in vigore, e di cui nessuno finora si è mai sognato di richiedere l'abrogazione: può una sentenza di un giudice istigare a violare una legge dello Stato? Mi pare di no.



In secondo luogo, la pretesa di "abolire" un simbolo del cristianesimo, un simbolo di quelle che sono le radici storiche, religiose e culturali non solo dell'Italia ma dell'intera Europa, mi pare indice di una profonda superficialità e ignoranza.



Io sono ateo e anticlericale, ma francamente non vedo quale offesa possa arrecare a dei non credenti l'esposizione nelle aule scolastiche (e nei tribunali, come prevede la legge così disinvoltamente ignorata dal magistrato aquilano) di un simbolo del cristianesimo - così come non vedrei, e non vedo, che danno possa arrecare a dei non musulmani la presenza negli uffici pubblici o nelle scuole dei Paesi islamici di versetti del Corano.



Rimuovere dalle scuole e dagli altri luoghi pubblici di un Paese cristiano il principale simbolo del cristianesimo "per non recare offesa alle altre religioni" mi pare francamente una stronzata, così come non addobbare l'albero e non allestire il Presepe a scuola in occasione del Natale per "rispettare la sensibilità dei bambini non cattolici" (è successo lo scorso anno in una scuola del milanese) o come tentare di far eseguire, con spese a carico del servizio sanitario nazionale, l'infibulazione della figlia di un paziente di religione islamica, spacciandola per una normale operazione chirurgica in day hospital (ci ha provato un medico di una ASL italiana, sempre lo scorso anno: complimenti...).



Per quanto mi riguarda l'Italia e l'Europa sbagliano, se si affannano a seguire ogni richiesta (pretesa?) degli immigrati (islamici e non) sulla strada del politicamente corretto.



Molto meglio l'approccio degli Stati Uniti, un Paese che degli immigrati ha fatto da sempre un suo punto di forza: venite pure a vivere, a lavorare e, se ne avete la stoffa, a prosperare a casa nostra, ma sia chiaro che se venite qua vi impegnate a rispettare le nostre regole e il nostro modello di Stato: sia chiaro che, come avviene in ogni casa nella vita di tutti i giorni, è l'ospite che deve accettare e rispettare le consuetudini dei padroni di casa, e non viceversa.



Che poi l'ospite possa, in privato e senza dare fastidio o danneggiare qualcuno, rispettare le consuetudini del proprio Paese e della propria cultura d'origine, è un altro discorso - ma, anche qui, con dei limiti ben precisi, rappresentati ad esempio dalle leggi dello Stato ospitante: per dire, se il padre della bambina di cui sopra, anzichè rivolgersi al medico della ASL, avesse provveduto personalmente, in privato, all'infibulazione, si sarebbe comunque macchiato di un reato previsto dal nostro codice, e sarebbe quindi comunque risultato perseguibile.



Ritengo insomma che l'approccio eccessivamente politically correct (sto usando un eufemismo) che sembra farsi strada in Europa (vedi Francia, ad esempio, dove ormai in certi casi si rasenta l'assurdo) sia fondamentalmente sbagliato: per rispettare l'identità altrui non si può rinunciare alla propria: una società che cancella le proprie tradizioni, i propri retaggi, la propria storia è una società votata alla scomparsa, all'oblio, e destinata ad essere rimpiazzata da "competitori" - come, tanto per non fare nomi, l'Islam - assai più agguerriti nella difesa della propria identità.



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