domenica 30 dicembre 2007

ThyssenKrupp: morto il settimo operaio


Nel primo pomeriggio di oggi anche Giuseppe Demasi, 26 anni, ha cessato di vivere.
Il bilancio della strage alla ThyssenKrupp sale così a sette morti. I nomi degli altri sei caduti sul lavoro sono Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò.

Nell'anno che si sta chiudendo i morti sul lavoro sono stati quasi mille e duecento; il nostro Paese figura agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, e il numero di morti ogni diecimila lavoratori è sensibilmente più alto che nella "patria dello sfruttamento selvaggio della manodopera", gli USA, che invece al riguardo possono vantare statistiche lusinghiere, che molti Paesi europei si sognano soltanto.

In occasione della strage di Nassiriya e di altri eventi luttuosi che hanno visto coinvolti i nostri militari all'estero mi è capitato di sentire gente sostenere che "avevano scelto loro di andare lì, erano pagati per quello".
Una colossale sciocchezza: nessuno sano di mente sceglie di farsi pagare, foss'anche bene, in cambio della propria vita.
La verità è che ci sono "mestieri", fra cui quello del soldato, in cui i fattori di rischio sono più alti, ma in nessun caso la morte viene considerata un rischio "normale" e da mettere in conto - almeno, negli eserciti occidentali non funziona (più) così da parecchio tempo.

Se neanche per dei militari di professione la morte "sul lavoro" viene ormai considerata una eventualità "accettabile", a maggior ragione non dovrebbe esserlo per dei "civili non combattenti" come gli operai caduti a Torino.

Viviamo il paradosso di un Paese dove i sindacati sono probabilmente i più forti d'Europa, dove le normative sulla sicurezza - sulla carta - sono fin troppo dettagliate, dove in teoria i controlli dovrebbero essere capillari, e invece ogni anno siamo qui a contare centinaia e centinaia di morti.

Così non si può andare avanti.

Gli organismi pubblici preposti ai controlli devono controllare i luoghi di lavoro per davvero, non solo sulla carta, e devono essere messi nelle condizioni di farlo; le aziende devono essere poste di fronte alla minaccia concreta, non solo teorica, di sanzioni pesantissime in caso di gravi omissioni o carenze; tasto particolarmente dolente per molti, i sindacati devono smettere di fare politica e di cogestire determinate situazioni assieme alle aziende e devono riprendere a fare il proprio mestiere, cioè fare gli interessi dei propri iscritti senza inciuciare con la controparte in cambio di una fetta della torta.

Non è tollerabile che tutti, ma proprio tutti, continuino a tirare a campare e a farsi gli affari propri sulla pelle di chi lavora: anche qui è necessario un soprassalto di dignità, la consapevolezza che le leggi vanno rispettate, che ognuno deve svolgere il proprio ruolo onestamente e lealmente, che le persone non sono numeri da accodare in fondo a una statistica sulle morti bianche ma sono persone in carne e ossa che la mattina escono di casa per andare a guadagnarsi da vivere, non per andare a morire a causa dell'indifferenza, della disonestà o dell'imperizia altrui.

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