venerdì 5 novembre 2004

Prima di mettere mano ai fazzoletti


I mass media già da giorni si sono lanciati nella (ennesima, per molti) campagna di santificazione del terrorista Arafat: ma quant'è (quant'era) bravo, eroico, coraggioso, deciso, amante del suo popolo (bugia colossale), votato alla causa della pace (altra balla galattica: mai Nobel per la Pace fu più assurdo di quello assegnato a lui), etc. etc.



Prima di tirare fuori i fazzoletti, però, forse conviene leggersi ritratti un po' meno in ginocchio, come questo a cura di Angelo Pezzana, riportato da Esperimento:
Raccontare il falso è sempre stata la grande specialità di Arafat. Non è nato a Gerusalemme ma al Cairo, suo padre era per altro mezzo egiziano. Non è quindi un palestinese, come ha sempre affermato.



E’ nato nel 1929 e ha visto per la prima volta la Palestina nel 1947. Ha sempre raccontato di essere cresciuto nella città vecchia di Gerusalemme a pochi passi dal muro del pianto. Peccato che non sia vero. Scoperto il trucco, ha dichiarato di essere nato a Gaza. In realtà la prima volta che ci ha messo piede è stato solo nel 1994. Un trucco che non sarebbe stato difficile scoprire, visto che Arafat ha sempre avuto e ancora ha un forte accento egiziano.



Peccato che scoprire i suoi altarini non sia mai stato un esercizio praticato dai nostri grandi esperti in Medio Oriente. Il suo diritto a mentire è stata l’invenzione più riuscita, quella che più è piaciuta ai mezzi d’informazione del mondo intero: la guerra a Israele, quando nel 1964 fu creata l’OLP, l’organizzazione per la liberazione della Palestina. Da allora si è potuto permettere qualsiasi affronto alla verità. Lo hanno sempre creduto.



Non è mai stato a Gerusalemme durante la guerra di Indipendenza del 1948, ma ha sempre affermato di averla combattuta. Falso, ma è stato creduto.

Si è quindi inventato una biografia inesistente e il gioco ha funzionato. L’abbiamo verificato in questi giorni, dal momento in cui si è sentito male fino al suo trasporto in un ospedale francese a bordo di una aereo che graziosamente Chirac gli ha messo a disposizione.



Ci siamo sorbiti articoli traboccanti stima, considerazione, affetto, commozione, come se ad essere in pericolo di vita ci fosse un uome che ben ha meritato nella sua vita e non un fanatico killer di ebrei. Potremmo aggiungere anche un persecutore del suo popolo, al quale ha di fatto impedito qualsiasi soluzione che potesse portare alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente. Il conflitto permanente essendo una della condizioni che ha permesso ad Arafat di rimanere in sella per quarant’anni, dittatore di una dirigenza palestinese alla quale era solo concesso di ratificare le sue decisioni e niente di più.



"Anche subito dopo aver firmato gli accordi Oslo e mentre gli veniva conferito il premio Nobel per la pace, Arafat e l’OLP preparavano il terreno per l’intifada delle moschee che avrebbe portato con sè l’ondata del nuovo terrorismo suicida", ci dichiara Fiamma Nirenstein, autrice de "Gli antisemiti progressisti".



Il dono che Arafat ha fatto al mondo, contrariamente all’immagine che i media hanno inventato, è stata l’arma dei martiri suicidi, che portato la morte in mezzo alla popolazione civile. "Israele sta trattando con la persona peggiore possibile", aveva detto a Rabin nel 1993 il re di Giordania Hussein, che Arafat aveva avuto la sfortuna di sperimentare personalmente quanti lutti e stragi si portasse dietro.



Malgrado ciò Arafat ha mantenuto intatta la sua credibilità, anche quando dichiarava che dietro alle stragi c’era la mano di Israele. Persino dopo Taba ha sparso il sospetto che dietro le bombe che hanno fatto strage di israeliani ci fosse l’opera del Mossad.



La violenza, fisica e politica, è sempre stato il suo strumento preferito. Certo, gli eufemismi per definirla diversamente non sono mancati. Lotta armata, resistenza, tutta la retorica su Mister Palestina, che non dorme mai, lavora 24 ore al giorno, come può seguire la famiglia quando la sua vera sposa è il popolo palestinese ?



Gli articoli su di lui di questi giorni abbondavano in lacrime e commozione. Che le sue mani grondino sangue innocente non ha la minima importanza. C’è qualcuno però che non l’ha dimenticato. Sono i parenti degli israeliani di origine francese che sono morti negli attentati. Hanno infatti richiesto di iniziare subito un procedimento legale contro il rais, visto che ora si trova in terra francese. Vedremo quale spazio questa notizia si conquisterà sui nostri giornali (posso già immaginarlo, NdR) visto l’orientamento che hanno assunto nei suoi confronti in quello che non è azzardato definire un processo di beatificazione ante mortem del beatificato.



E’ questa per Arafat la fine del viaggio o ci sarà un ritorno più o meno risanato al controllo del potere, deludendo più di ogni altro chi in questi giorno sta pesando quanto vale la propria candidatura ? Che da queste parti non significa gara elettorale secondo i criteri democratici, ma quanto pesa il proprio potere in quanto ad armi possedute e milizie di guerriglieri controllati.



Un’era è comunque finita. Arafat senza divisa e keffiah sostituiti da un pigiama e un berretto di lana blu scuro, quel baciare le mani a chi gli siede accanto, in un gesto che non sa più di comando ma di sottomissione, hanno incrinato definitamente nell’immaginario propagandistico palestinese l’icona che il rais ha curato per decenni con abile e truffaldina capacità. Difficile mentire sulla malattia, impossibile inventare altre menzogne.



Se Arafat uscirà di scena, come si augurano più ancora di Israele i vari Abu Mazen, Abu Ala, Mohammed Dahlan, sarà un bene anche per lo Stato ebraico. La controparte con la quale trattare, di cui Sharon ha sempre e realisticamente affermato l’irrilevanza come interlocutore di pace, forse avrà un volto. Si spera diverso da quello di Arafat. Con lui scomparirà il vero ispiratore di Bin Laden.



Arafat sarà ricordato nei libri storia come l’uomo che con la pratica quotidiana del terrorismo si augurava di eliminare lo Stato ebraico. Infatti sulle carte geografiche più largamente in uso nell’Autonomia palestinese e nei testi di scuola Israele non esiste.

Il suo resterà un desiderio non realizzato.


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