martedì 16 dicembre 2008

Elezioni in Abruzzo

Come ampiamente prevedibile il candidato del centrodestra, Chiodi, ha vinto con ampio margine (48,81% contro 42,67%) contro il candidato del centrosinistra, Costantini.

Un segnale preoccupante viene dall'altissima quota di astenuti: quasi un abruzzese su due non è andato a votare. Non che sia un dato del tutto sorprendente e imprevisto, intendiamoci: negli ultimi anni la classe politica abruzzese, sia di destra che di sinistra, ha fatto di tutto tranne che governare bene la regione, normale quindi che a un certo punto la gente si sia stancata di ascoltare i soliti slogan elettorali e le solite promesse da marinaio, finora mai seguite dai fatti.

Ora Chiodi ha la possibilità di dimostrare di che pasta è fatto: certo la faccenda del filmato infarcito di promesse clientelari fatto girare e poi precipitosamente ritirato in piena campagna elettorale non è un buon segnale, ma lo metteremo alla prova nei prossimi mesi, giudicandolo sui provvedimenti concreti e confrontandoli con gli impegni presi in campagna elettorale.

Il dato politico più dirompente di queste elezioni abruzzesi però è un altro. All'interno della coalizione di sinistra il Partito Democratico ha preso il 19,61% dei voti, mentre l'IdV di Di Pietro ha quintuplicato circa il suo risultato precedente arrivando a un clamoroso 15,03%.

Con numeri e proporzioni come queste Veltroni non può più far finta di niente, è evidente che la sua gestione del partito si sta dimostrando semplicemente fallimentare: urge un cambio di rotta (e di alleanze?), e se Veltroni non è disposto o non è in grado di attuarlo allora urge un cambio di segretario politico.

Quanto al valore di queste elezioni: a destra si parla di risultato rilevante sul piano nazionale, a sinistra si minimizza definendolo "un test limitato in una delle regioni più piccole d'Italia" (Giuseppe Fioroni, responsabile organizzativo del Pd, 14 dicembre 2008).

Strano, perché l'Abruzzo ha un milione e trecentomila abitanti, la provincia di Trento meno di cinquecentomila, eppure in occasione della vittoria della sinistra a Trento Veltroni dichiarò che "i risultati delle elezioni confermano come anche nel nostro Paese il clima stia cambiando" e che quello di Trento era "un dato che deve far riflettere e che si inserisce in un mutato clima politico e sociale dell'Italia nei confronti del governo Berlusconi". Che dire? Forse è meglio stendere un velo pietoso...

La verità, come spesso accade, sta nel mezzo: elezioni politiche nazionali ed elezioni amministrative sono due cose diverse e riguardano livelli istituzionali diversi: sarebbe assurdo, da questo punto di vista, chiedere le dimissioni di un governo uscito da consultazioni politiche generali e pienamente titolato a governare per l'intera legislatura solo perché le amministrative hanno espresso maggioranze diverse in una o più regioni (poi, naturalmente, questo è proprio quello che è regolarmente successo nel nostro passato anche recente, ma questo dimostra solo il grado di inciviltà istituzionale dei nostri partiti politici).

Allo stesso tempo, non sul piano istituzionale ma su quello squisitamente politico e partitico, è ovvio che segnali come quelli che arrivano dalle elezioni amministrative non possono essere ignorati: come minimo vanno considerati come dei "mega-sondaggi" sul campo, e un leader di partito sbaglierebbe a nasconderli frettolosamente in un cassetto solo perché sgraditi.

Direi che Veltroni, quindi, farebbe bene a trarre le dovute conseguenze dal disastro abruzzese (stamane il Riformista titola "Un'altra Waterloo"), o decidendosi finalmente a fare sul serio il segretario del Partito Democratico e non il portatore d'acqua per Di Pietro oppure ammettendo onestamente la propria inadeguatezza e facendosi da parte per il bene del suo partito e dell'opposizione in generale: andare avanti invece come se niente fosse successo a questo punto rischierebbe di trasformare l'attuale disastro in una catastrofe irreversibile, e questo non sarebbe un bene né per l'opposizione né per la stessa democrazia italiana.

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